Continuano i festeggiamenti per l’80a stagione concertistica 2024/2025 dei Pomeriggi Musicali “80 anni suonati” con un concerto dal forte valore simbolico: giovedì 20 (ore ore 20) e sabato 22 marzo (ore 17) al Teatro Dal Verme di Milano è in programma l’esecuzione della Sinfonia n. 9 in Re minore op. 125 di Ludwig van Beethoven, monumento sinfonico corale che, com’è noto, si conclude con l’Inno alla gioia su testo di Friedrich Schiller. Sul podio della compagine milanese torna anche questa settimana un direttore molto amato dal pubblico come Diego Fasolis (foto Daverio). La celebre conclusione corale è affidata al Coro della Radiotelevisione Svizzera (diretto da Martin Steffan), mentre i solisti vocali sono il soprano Michela Antenucci, il mezzosoprano Lucia Cirillo, il tenore Charles Sy e il basso Henryk Böhm. Ai avvia al sold out il concerto di sabato 22 marzo, qualche disponibilità in più per il debutto di giovedì 20 marzo.
Giovedì 20 marzo, dalle ore 18.45, ci sarà un nuovo appuntamento del ciclo “Altri Pomeriggi” dedicato agli Under30 che potranno conversare con gli artisti in attesa del concerto, prendendo un aperitivo (biglietto e aperitivo: 10 euro).
Non è previsto invece il concerto In Anteprima del giovedì mattina.
«La Nona di Beethoven – ricorda Raffaele Mellace nelle note di sala – è senz’altro tra i titoli più emblematici dell’intera civiltà occidentale. Bastano a dimostrarlo due circostanze, estranee alla qualità estetica della partitura, che nell’arco dell’ultimo mezzo ne hanno sancito il valore simbolico universale. Da un lato l’adozione dell’Inno alla gioia che corona la Nona a inno ufficiale della Comunità (oggi dell’Unione) europea, dal 19 gennaio 1972; dall’altro la decisione presa otto anni dopo dal presidente della Sony Norio Ohga di stabilire la durata standard dei CD ai 74’ dell’incisione della Nona diretta da Wilhelm Furtwängler a Bayreuth nel 1951. […] Monumentale nelle dimensioni, dalla concezione rigorosamente organica, la Nona presenta tanto caratteristiche associabili alla scrittura beethoveniana più tipica (lo Scherzo, che protrae ed esalta l’impeto bellicoso dell’omologo movimento della Settima), portata alle estreme conseguenze (si pensi al materiale tematico essenziale su cui si fonda il I tempo) […]. Ma anche laddove tali caratteristiche richiamano procedimenti tipicamente beethoveniani, in realtà questi si rivelano ormai distanti dalla perentoria incisività dei lavori precedenti (l’Eroica, la Quinta), caratterizzati da un’invenzione tematica plastica e da processi di sviluppo drammatici. Al contempo, questa estrema sinfonia esibisce tratti dello stile tardo del compositore: […]. La sorpresa più sconcertante sta però nelle scelte irrituali del complesso Finale, vertice di sperimentalismo formale, che con le sue oltre 900 battute amplifica ulteriormente l’impostazione già grandiosa della sinfonia, sbilanciandola verso la conclusione […]. Citando i tempi precedenti, Beethoven ricapitola sinteticamente l’intera sinfonia, conferendole un inedito carattere ciclico; ammette nel genere strumentale per eccellenza solisti vocali e coro; delinea, dapprima attraverso il rifiuto/superamento dei temi dei tempi strumentali, poi attraverso sezioni vocali di diverso carattere (bellico, coreutico, estatico ecc.) il percorso epico, dall’evidente valenza morale, dell’ascesa dell’umanità verso l’ideale di fraternità universale, esaltato dall’illuminismo dell’ode Alla gioia di Schiller, intonata, parzialmente e riorganizzandone il testo, nella versione originaria del 1785, preferita alla revisione d’autore del 1803. La “voce” schilleriana emerge progressivamente dall’orchestra, sollecitata da un irrituale “recitativo” (così la partitura: Secondo il carattere di un recitativo) di violoncelli e bassi. Paradossalmente, nell’ultima fase creativa beethoveniana, l’orchestra prende così a cantare: il massimo artefice dell’affermazione della musica strumentale sceglie nel suo ultimo, visionario capolavoro sinfonico di ricorrere al coronamento della voce per attingere a una nuova pienezza comunicativa».
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