lunedì 24 marzo 2025

Il “pianismo originale e coraggioso” di Filippo Gorini per il prossimo concerto dell’Accademia Filarmonica Romana al Teatro Argentina giovedì 27 marzo.

 
A soli 30 anni, Filippo Gorini è uno dei più brillanti pianisti del panorama musicale internazionale. Talento eccezionale, dalla maturità e solidità interpretativa che difficilmente si riscontra nei più giovani, Premio Abbiati nel 2022 come miglior solista, il suo “pianismo originale e coraggioso” (The Guardian), ha conquistato le più importanti sale da concerto e teatri d’Europa, fino ai più recenti debutti alla Scala di Milano e alla Carnegie Hall di New York.
Giovedì 27 marzo al Teatro Argentina (ore 21) Gorini torna ospite dell’Accademia Filarmonica Romana – che ne aveva ‘fiutato’ il talento già nel 2017 con un primo concerto alla Sala Casella e poi nel 2019 con un recital all’Argentina – per un nuovo progetto triennale che lega il pianista brianzolo all’istituzione romana, con l’esecuzione delle ultime Sonate di Beethoven e Schubert affiancate a prime esecuzioni di autori contemporanei.
Il concerto di giovedì 27 marzo si apre con le prime esecuzioni italiane delle più recenti composizioni, ancora inedite, dalla raccolta Játékok del novantanovenne György Kurtág, compositore di riferimento per il secondo Novecento fino ai nostri giorni, che Gorini ha avuto modo di conoscere e con cui ha lavorato. Játékok, in italiano Giochi, è un lavoro di una vita che iniziato nel 1973, a scopi didattici, è diventato espressione della scrittura compositiva dell’autore ungherese, un caleidoscopio di materiali recuperati dal repertorio storico e rivisitati, citazioni e omaggi a musicisti del passato e del presente. I tre inediti – i primi due in prima italiana –, sono Hazatérés [Tornare di nuovo a casa] - Hommage à Eötvös Péter 80 (2023-24), In memoriam Gyuri Maros (2023) e Màrta Ligatùràja (2022), cui si affiancano, dalla stessa raccolta, In memoriam Edison Denisov (1996) e Kedves scritto negli anni Cinquanta.
 
“Alcuni pezzi di Kurtág (nella foto a sinistra) – racconta Gorini che ha approfondito e studiato la sua musica – sono accessibili persino ai bambini che si avvicinano al pianoforte. Ma è un repertorio che chiede un’enorme cura nell’ascolto, nel silenzio tra le note, nelle microsfumature di articolazione e di dinamica. Occorre interiorizzarlo, capire come ogni suono abbia un peso e un’intenzione precisi, come ogni pausa vada ‘abitata’”. E prosegue sul grande compositore ungherese: “Quarant’anni di vita a cercare l’essenza della musica e a concentrarla in frammenti che parlano direttamente al cuore. Che si tratti di violenza sonora o di un afflato poetico quasi sospeso nel silenzio, Kurtág riesce a esprimere l’intensità dell’esistenza senza filtri. E questo lo rende, a mio avviso, un compositore di un’umanità straordinaria”.
 
A Kurtág seguono le ultimissime Sonate per pianoforte di Beethoven e Schubert, in quest’occasione due capolavori che si succedono a distanza di pochi anni. Beethoven scrisse la Sonata n. 32 in do minore op. 111 fra il 1821 e il ’22: la compongono solo due movimenti (il secondo con il celebre tema dell’Arietta, di origine popolare, viene raccontato anche nel Doktor Faustus di Thomas Mann), la cui scrittura tanto tecnicamente difficile e anticonvenzionale per l’epoca, e soprattutto la sua intensità, dovettero sconcertare il pubblico dell’epoca che si trovò di fronte a qualcosa di inaudito. Segue la Sonata in si bemolle maggiore D 960 di Schubert, composta nel suo ultimo anno di vita, il 1828. Venne pubblicata solo nel 1839, con dedica a Robert Schumann, che di Schubert colse le novità del suo ultimo periodo compositivo, in cui le idee musicali si dipanano e si dilatano senza legami o sviluppi: “Così – scrisse Schumann – la composizione scorre mormorando di pagina in pagina, sempre lirica, senza mai pensiero per ciò che verrà, come se non dovesse mai arrivare alla fine, interrotta soltanto qua e là da fremiti più violenti che tuttavia si spengono rapidamente”.

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