Era il 1968. Era l'anno in cui si assommavano in tutto il mondo le proteste studentesche a sostegno dei diritti civili e contro la guerra in Vietnam. Uscivano i primi concept album e rock-operas, l'anno in cui vengono pubblicati The Soft Machine dei Soft Machine, The Aerosol Grey Machine dei Van der Graaf Generator e Ars Longa Vita Brevis dei The Nice, Stand Up dei Jethro Tull contiene un riarrangiamento di "Bourrée" di J.S. Bach, mostrando l'influenza della musica classica nel prog, come Horizons dei Genesis dimostra l'isprazione tratta da una suite per violoncello di Bach.
Buenos Aires, 1968, un tragico evento: il disastro del "Cancello 12" allo stadio Monumental, dove 71 tifosi morirono schiacciati dopo una partita di calcio tra River Plate e Boca Juniors.
Horacio Ferrer (nella foto a destra) è poeta, paroliere e drammaturgo. Appassionato di tango,autore di diversi libri di poesia, ha da tempo un lungo sodale artistico con il compositore Astor Piazzolla. Ferrer ricorda che Piazzolla ebbe ad affermare: “Cos'è questa cosa? Non ne ho la minima idea! Da un lato è un po' come un oratorio; dall'altro un po' come una cantata – ma non è né l'una né l'altra – e non è nemmeno un musical; tanto meno un'opera.”. Si riferisce a 'Maria de Buenos Aires', che entrambi (l'uno autore del testo, l'altro della musica), hanno definito 'operita, un gioco di parole tra "operetta" e lo spagnolo "obrita", ovvero "piccola opera"; non ci sono soldi per una grande orchestra, quindi progettano l'opera per un ensemble di undici elementi, due cantanti, un uomo e una donna, un piccolo coro misto. Nel libretto, Horacio Ferrer rimanda proprio ad alcuni di quei fenomeni che attraversano il mondo in quegli anni dagli hippies ai Beatles. Storia semplice: Maria subisce il fascino della grande città, della musica del tango, si imbatte in delinquenti e fannulloni (un'eco sbiadita de 'L'opera da tre soldi' di Brecht & Weill), diviene una prostituta, incontra la morte, è dannata, le tocca l'Inferno (che altri non è se non la stessa Buenos Aires). La sua ombra infesta le strade della capitale argentina e partorisce un'altra se stessa.
Bene ha fatto l'associazione Incontri Musicali a presentare, in prima assoluta per la Sardegna, l'opera di Piazzolla in un Teatro Carmen Melis occupato in ogni ordine di posti; e bene ha fatto ad affidarne la direzione al Maestro Giacomo Medas, alla guida di elementi dell'Orchestra Regionale Sarda Franco Oppo: Walter Agus (pianoforte), Andrea Belén Fernández (flauto), Luca Micheletti (chitarra), Massimo Pitzanti (bandoneon), Massimiliano Pani e Matteo Amat di San Filippo (violini), Stefano Carta (viola), Omar Leone (violoncello), Giacomo Paulis (contrabbasso), Francesco Cimminiello e Davide Collu (percussioni).
Una resa strumentale limpida, perfettamente calata nello spirito, seppure un po' smussata, ammorbidita del suo voluto e cercato spessore 'sporco'; Medas riesce a rendere comunque ora il suo sapore triste e cupo, ora l'umorismo che fa capolino, ora le espressioni di energia che tentano di far lievitare la stanchezza del mondo, in quell'eterogeneo miscuglio di milonga, canyengue, tango, payada, elementi classici e rimandi jazz .
L'insieme strumentale (in bella prova nei due intermezzi danzati)
possiede una brillantezza ed una fusione timbrica, col bandoneon di
Massimo Pitzianti (nella foto) mai preponderante – nonostante la scrittura di
Piazzolla lo privilegi – in una esecuzione di grande raffinatezza
ed eleganza. “Suono con la violenza", disse una volta Astor
Piazzolla. "Il mio bandoneón deve cantare e urlare. A volte lo
picchio fino a farlo a pezzi"; e qui il bandoneon agisce come
forza metafisica, sul sottile confine tra desiderio e distruzione.
Medas rende ottimamente tutti i piccoli dettagli strumentali,
nitidamente focalizzati, dai morbidi assoli di violino ai riff di
chitarra e pianoforte, all'uso che Piazzola fa dell'incedere
progressivo delle progressioni fino ad alcuni ostinati ritmici.
La prostituta/Madonna, che incarna la storia stessa del tango, è stata afffidata a Caterina D'Angelo, forse l'elemento più debole dell'esecuzione; se il mezzosoprano messinese (oggi nel coro del Teatro dell'Opera di Roma) ha indubbiamente il registro grave di timbro corposo e consistente, a mancare la messa a fuoco del ruolo di Maria è quel quid che renda la sfida e la vitalità di Maria, e in quei quattro minuti di 'Yo so Maria' non riesce a rivelarne la sua impavidità e la sua fragilità, vuoi per certi limiti nel registro acuto (dai suoni lievemente schiacciati), vuoi per una gestione del microfono cui artisticamente, probabilmente, non è abituata.
Più a fuoco Manuel Cossu (La Voz de un Payador, Porteño Gorrion con Sueño, Analista Primero, Una voz de ese Domingo), timbro da baritenore, chiaro, luminoso.
Nel libretto di Ferrer si trovano tutti gli elementi della sua poetica, con elementi spesso fantastici e surreali (gli psicoanalisti che nella società argentina negli anni Sessanta erano in numero spropositato vengono rappresentanti come facenti parte di un circo); in questa fusione tra sacro e profano, tra rimandi alle sacre scritture e alla vita del barrio, il testo (in origine in Lunfardo, qui in traduzione italiana) viene affidato a Daniel Dwerryhouse (voce narrante / El duende, lo Spirito); dichiarò lo stesso Ferrer che la narrazione, non semplice, non deve essere letta e capita, ma ascoltata ed emozionalmente sentita, come la musica. Dwerryhouse, a mio avviso, si è forse lasciato prendere la mano, in un crescendo recitante che non ha evitato di salire spesso sopra le righe.
Restano da segnalare i brevi interventi del coro (Agnese Ledda, Daniela Uggias, Maria George, Davide Esposito, Livio Zuncheddu, Guido Sbressa), i misurati interventi danzati di Chiara Cisci e Hatem Kakish in 'Tangata del alba' e nell'Allegro tangabile'.
Abbigliati di nero tutti i protagonisti con qualche elemento caratterizzante rosso; assolutamente inadatto l'abbigliamento casual del Duende.
Pubblico generoso di applausi al termine di ognuno dei sedici quadri. Con buona pace della continuità drammaturgica.
La prostituta/Madonna, che incarna la storia stessa del tango, è stata afffidata a Caterina D'Angelo, forse l'elemento più debole dell'esecuzione; se il mezzosoprano messinese (oggi nel coro del Teatro dell'Opera di Roma) ha indubbiamente il registro grave di timbro corposo e consistente, a mancare la messa a fuoco del ruolo di Maria è quel quid che renda la sfida e la vitalità di Maria, e in quei quattro minuti di 'Yo so Maria' non riesce a rivelarne la sua impavidità e la sua fragilità, vuoi per certi limiti nel registro acuto (dai suoni lievemente schiacciati), vuoi per una gestione del microfono cui artisticamente, probabilmente, non è abituata.
Più a fuoco Manuel Cossu (La Voz de un Payador, Porteño Gorrion con Sueño, Analista Primero, Una voz de ese Domingo), timbro da baritenore, chiaro, luminoso.
Nel libretto di Ferrer si trovano tutti gli elementi della sua poetica, con elementi spesso fantastici e surreali (gli psicoanalisti che nella società argentina negli anni Sessanta erano in numero spropositato vengono rappresentanti come facenti parte di un circo); in questa fusione tra sacro e profano, tra rimandi alle sacre scritture e alla vita del barrio, il testo (in origine in Lunfardo, qui in traduzione italiana) viene affidato a Daniel Dwerryhouse (voce narrante / El duende, lo Spirito); dichiarò lo stesso Ferrer che la narrazione, non semplice, non deve essere letta e capita, ma ascoltata ed emozionalmente sentita, come la musica. Dwerryhouse, a mio avviso, si è forse lasciato prendere la mano, in un crescendo recitante che non ha evitato di salire spesso sopra le righe.
Restano da segnalare i brevi interventi del coro (Agnese Ledda, Daniela Uggias, Maria George, Davide Esposito, Livio Zuncheddu, Guido Sbressa), i misurati interventi danzati di Chiara Cisci e Hatem Kakish in 'Tangata del alba' e nell'Allegro tangabile'.
Abbigliati di nero tutti i protagonisti con qualche elemento caratterizzante rosso; assolutamente inadatto l'abbigliamento casual del Duende.
Pubblico generoso di applausi al termine di ognuno dei sedici quadri. Con buona pace della continuità drammaturgica.
Sergio Albertini (c) 2025




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