sabato 15 novembre 2025

Domenica 16 novembre, alle 17 al Teatro Alighieri con Accademia Bizantina e il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini il Messiah di Händel corona la Trilogia d'Autunno

 

Per la prima esecuzione del Messiah di Händel, nella Dublino del 1742, si raccomandò ai gentiluomini di presentarsi senza spada al fianco e alle dame di rinunciare al pannier, l’intelaiatura che amplificava la gonna – si tentava così di recuperare posti, dato che i biglietti erano andati a ruba. Da quel primo storico successo, il Messiah di Händel ha continuato a conquistare il pubblico di tutto il mondo e la dedica di Ravenna Festival 2025 al compositore non poteva che coronarsi proprio con il suo celeberrimo oratorio: domenica 16 novembre, alle 17 al Teatro Alighieri, il Messiah conclude la Trilogia d’Autunno. L’esecuzione è affidata ad Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, a cui si unisce il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini preparato da Lorenzo Donati. Alysia Hanshaw, Delphine Galou, Žiga Čopi e Christian Senn sono i solisti per questo polittico musicale nato al convergere di passione luterana, oratorio italiano e anthem corale inglese; una luminosa rappresentazione del dramma del Cristianesimo carica di umanità e commozione, ma anche di un eloquio prezioso e sapiente, che si traduce in una allegoria capace di trascinare l’ascoltatore fuori dal tempo e dalla storia.
 

“Con l’oratorio in lingua inglese, Händel crea un nuovo genere: un modo per rispondere alla crisi che stava vivendo la sua impresa teatrale – sottolinea Ottavio Dantone, al clavicembalo e alla direzione – Nell’oratorio egli tratta l’argomento biblico e sacro mantenendo le stesse forme dell’opera ed esaltando la maestria della scrittura strumentale e vocale. Insomma, a conferma della sua genialità, riesce a creare qualcosa di inedito rimanendo pienamente riconoscibile nel proprio stile. Che intrecciando l’esperienza accumulata con l’opera italiana, la propria estrazione tedesca, e anche la conoscenza degli usi musicali francesi, può dirsi a pieno titolo lo stile perfetto”. Non a caso, sin dalla prima esecuzione dublinese, il Messiah – nelle parole del musicologo Alberto Basso – “sfugge dalle mani del suo autore ed entra nella leggenda e nel mito”.
 

Fu Charles Jennens, colto e ricco letterato di simpatie giacobite, a proporre a Händel, con cui aveva già collaborato per Saul, il libretto del Messiah. Articolato in tre parti, il testo si concentra sugli annunci profetici della venuta di Cristo, sulla sua passione, morte e resurrezione e infine sul giorno del Giudizio Universale: il risultato di un sistematico collage di brani dal Vecchio e Nuovo Testamento – inclusi Isaia, lettere di San Paolo, l’Apocalisse, il Vangelo di Giovanni… Il compositore vi lavorò fra agosto e settembre del 1741; nello stesso periodo finì per accettare l’invito del terzo duca di Devonshire William Cavendish, allora governatore dell’Irlanda, per un concerto di beneficenza a Dublino, organizzato dalla Charitable and Musical Society che raccoglieva fondi per liberare chi era in prigione per debiti.
 

Il testo di Jennens, praticamente privo di personaggi o singole scene, favorisce il dipanarsi delle pagine come un’estesa meditazione, nel solco della tradizione dell’anthem, con i passi biblici distribuiti tra solisti e coro e alcune occasioni di “pittura” sonora (tra cui i concitati passaggi del terremoto, una pastorale per la Natività e le trombe che annunciano il Giudizio Universale). Arie, qualche duo e recitativi semplici ma soprattutto accompagnati caratterizzano le parti soliste, mentre per i cori Händel dispiega polifonie che vanno dalla scrittura salmodiante al contrappunto, in stile quasi esclusivamente “moderno”. Fino al grandioso Hallelujah in cui il protagonista assoluto, Cristo, passa dalla sofferenza al trionfo sulla morte.


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