Werther torna alla Scala dopo 44 anni con un nuovo allestimento firmato da due personalità di rilievo del teatro musicale internazionale, entrambe al debutto a Milano. Le sei rappresentazioni del capolavoro di Jules Massenet, dal 10 giugno al 2 luglio, saranno dirette da Alain Altinoglu (nell'ultima foto in basso), direttore musicale della Monnaie di Bruxelles e dell’Orchestra della Radio di Francoforte e ospite regolare dei Wiener Philharmoniker, mentre la regia è firmata da Christof Loy, uno dei protagonisti della scena teatrale europea, le cui prossime nuove produzioni includono Fiamma di Respighi alla Deutsche Oper e Das Paradies und die Peri all’An der Wien. Le scene sono di Johannes Leiacker, i costumi di Robby Duiveman. Protagonista è il tenore francese per eccellenza del nostro tempo, Benjamin Bernheim (nella foto), insieme alla vincitrice di Operalia 2021 Victoria Karkacheva (foto più in basso - che sarà presto Carmen al San Carlo) come Charlotte, l’elegante baritono Jean Sébastien Bou, anche apprezzato interprete di mélodies francesi, come Albert e Francesca Pia Vitale, diplomata nel 2022 all’Accademia del Teatro alla Scala, come Sophie.
Un’ora prima dell’inizio di ogni recita, presso il Ridotto dei Palchi “A. Toscanini”, si terrà una conferenza introduttiva all’opera tenuta da Raffaele Mellace.
Il 10 giugno l’opera sarà trasmessa in diretta su Rai Radio3, poi in differita sul circuito Euroradio. La rappresentazione del 27 giugno sarà trasmessa in live streaming sulla piattaforma LaScalaTv e resterà disponibile on demand fino al 4 luglio.
Christof Loy (nella foto) ha impostato lo spazio scenico con elegante semplicità: una parete bianca isola i personaggi al proscenio mentre attraverso una porta si scorgono riti e quotidianità di una vita sociale dalla quale sono esclusi. L’attenzione è concentrata sulla recitazione dei protagonisti e sulle tensioni psicologiche e affettive che si creano tra di loro. Spiega il regista, intervistato da Mattia Palma per La Scala – Rivista del Teatro: “Se nei Dolori del giovane Werther c’è il triangolo tra Werther, Charlotte e Albert, nelle Affinità elettive le coppie sono due, quindi le possibilità esplorate nel romanzo precedente vengono ampliate. Ecco, nel Werther di Massenet l’introduzione del personaggio di Sophie porta a un quartetto tutto sommato analogo, con molte più combinazioni possibili, alcune delle quali hanno qualcosa di chimico, che non si può distruggere in nessun modo, come nel caso di Werther e Charlotte”. Al suo primo incontro con l’Orchestra scaligera, Alain Altinoglu ha parlato di Werther con Laura Cosso: “Credo che il livello di complessità di un’opera come Werther stia anche nell’incontro tra due mondi: il mondo tedesco, certo, però visto dai francesi. Un po’ come accade con la Carmen di Bizet, dove c’è il mondo spagnolo ma filtrato dallo sguardo francese. In particolare, Massenet è un compositore molto attento ad adattare il proprio vocabolario musicale all’ambientazione dei libretti e delle loro fonti. Per esempio, quando scrisse Thérèse, un’opera sulla Rivoluzione francese, egli introdusse un clavicembalo in orchestra; così in Werther lasciò trasparire l’allusione all’ambiente tedesco attraverso una scrittura ricca di cromatismi, ovvero attraverso ciò che per l’epoca era un segnale inequivocabile, visto che faceva subito pensare a Wagner. Un altro livello attraverso cui guardare l’opera è poi la forte risonanza tra la vicenda di Werther e la vita personale di Massenet in quel periodo, la crisi del rapporto con la moglie, le sue vicende extraconiugali e forse, più in generale, il suo riconoscersi in una certa energia dolorosa, in certi tratti melanconici”.
All’apice della fama dopo i successi di Herodiade e Manon, Massenet risponde innanzitutto a un’esigenza poetica personale quando decide, insieme all’editore Hartmann, di chiedere a Paul Milliet e Édouard Blau di trarre un libretto dai Dolori del giovane Werther di Goethe. E infatti dopo lunghi anni di gestazione (l’idea risale addirittura al 1880) l’opera fatica a trovare rappresentazione in Francia e debutta a Vienna nel 1892 in traduzione tedesca. La prima dell’originale francese segue qualche mese più tardi a Ginevra e infine, nel gennaio 1893, Werther giunge all’Opéra-Comique a Parigi, da cui inizia il processo di consacrazione che ne farà l’opera più acclamata e popolare dell’autore. Nota Raffaele Mellace nella presentazione scritta per la Rivista scaligera: “Dramma crudele, il Werther è un dramma da camera, che si consuma negli spazi ordinari e ben poco eroici di una vita borghese di provincia, in grado di esacerbare la cocente contraddizione fra realtà esterna e mondo interiore. È un dramma che non fa nulla per occultare le proprie origini letterarie (tant’è vero che i luoghi di più alto lirismo hanno a che vedere con l’atto della lettura), cioè la derivazione da uno dei grandi best seller di tutti i tempi, un romanzo che alla sua uscita, esattamente 250 anni fa, aveva sconvolto l’esistenza di molti e che un secolo più tardi, nella Parigi della Terza Repubblica, si reputò maturo per una trascrizione scenica. Il genere del drame lyrique era ormai solito sfruttare, con buon successo, i classici, Shakespeare su tutti; un soggetto goethiano come il Faust si era prestato assai bene, per cui non v’era ragione di tenersi lontani dai Dolori del giovane Werther, nonostante la problematicità del genere, un romanzo epistolare, non esattamente tra i più adatti a calcare le scene”.
Werther alla Scala
L’opera debutta alla Scala in versione italiana (di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menasci) nel 1895. Cavallo di battaglia dei tenori lirici, Werther trova talvolta alla Scala anche importanti interpreti in buca. Nel 1932 torna in cartellone con la direzione di Franco Ghione e Aureliano Pertile come protagonista, ma voce italiana di riferimento nella prima metà del ‘900 è Tito Schipa, che è impegnato nel title role in quattro edizioni consecutive: 1934, 1935, 1938 e 1943, diretto nell’ordine da Franco Ghione, Antonio Guarnieri, Franco Capuana e Gino Marinuzzi, quest’ultimo per le rappresentazioni a Como, a Bergamo e al Teatro Lirico, in attesa della ricostruzione del Piermarini (nel ‘46 la ripresa sarà affidata ad Antonio Sabino). Nel 1948 Jonel Perlea dirige Giacinto Prandelli e Giulietta Simionato in uno spettacolo di Mario Frigerio. Tre anni dopo la Simionato sarà accanto a Ferruccio Tagliavini in una nuova produzione di Giorgio Strehler, diretta da Franco Capuana, mentre nel 1956 Antonino Votto riprende Frigerio con Giuseppe Di Stefano e Clara Petrella. Passano vent’anni e Werther torna nella leggendaria versione diretta da Georges Prêtre con Alfredo Kraus, Elena Obraztsova e la regia di Giulio Chazalettes.
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