È la sala della Fenice – una Fenice
del 1837, con la sua platea piena di panche mobili e i palchi sullo
sfondo – a fare bella mostra di sé nella copertina del volume di
Carlida Steffan e Luca Zoppelli Nei palchi e sulle sedie. Il
teatro musicale nella società italiana dell’Ottocento (Roma,
Carocci, 2023, 344 pp., €32.00, paperback). Un omaggio al teatro
veneziano con cui gli autori collaborano, in forme diverse, da molti
decenni ormai. L’immagine, però, vuole anche sottolineare la
particolarità di questo studio: qui si parla, in primo luogo, di
pubblico, il pubblico dell’opera nell’Ottocento italiano. O
meglio, dei pubblici: femminili e maschili, appassionati o distratti,
abbienti e meno abbienti, colti e meno colti. La presentazione del
volume si svolgerà nelle Sale Apollinee del Tearo La Fenice, lunedì
20 maggio 2024 ore 17.00: a colloquio con gli autori, Fortunato
Ortombina, sovrintendente e direttore artistico della Fondazione
Teatro La Fenice; e Michele Girardi, storico della musica. L’incontro
è a ingresso libero fino esaurimento dei posti disponibili.
Il teatro d’opera rappresenta, nell’Italia di allora, la
principale forma di spettacolo e il fulcro della vita sociale di
centri grandi, piccoli e minimi. È in primo luogo un trattenimento
d’élite, investito di un ruolo di rappresentanza, ma attira a
teatro spettatori di ogni ceto: a Liszt pare un «focolaio comune di
vita, di passione, d’entusiasmo» che «si spande incessantemente
in ogni ramo della società». Assume ruoli molteplici ed è fruito
in modo differente, talora antagonistico, da gruppi di spettatori
diversi per estrazione socioculturale, interessi e motivazione
(succede spesso che gli spettatori di platea fischino ciò che piace
agli occupanti dei palchi, e viceversa). Il volume, attingendo a
fonti spesso poco considerate (fra cui scritture private, carteggi,
opere narrative, trattatelli pedagogici) indaga il contesto
istituzionale e politico, la composizione sociale del pubblico, i
modi di vivere la serata a teatro, che funge al tempo stesso da sala
di conversazione, da dispositivo di identificazione sentimentale e di
scambio intellettuale, da luogo di discussione o di protesta
politica. Si sofferma – con risultati spesso sorprendenti per chi
conosca il mondo dell’opera odierno, assai diverso – sugli
orizzonti d’attesa degli spettatori e sulle loro sensibilità di
ascolto e di visione, mostrando anche come il teatro musicale, fruito
sin da bambini, contribuisca a formare l’educazione emotiva, la
visione del mondo, i riflessi d’ascolto e di lettura.
C’è spazio, poi, anche per chi l’opera la faceva: cantanti (tanto più apprezzati se erano anche dei grandi attori), impresari, librettisti, compositori, tutti però immersi negli usi sociali, nelle pratiche culturali di un’intera società, che partecipa attivamente a ogni passo del processo, propone, discute. E c’è un’immensa ricaduta al di fuori del teatro: gli autori seguono la diffusione del genere e dei suoi “prodotti derivati” nei salotti e nelle associazioni di musicisti dilettanti, nelle strade, nei caffè e nelle chiese. Fanno anche il punto sui rapporti fra opera e processo risorgimentale, molto più complessi e contraddittori di quanto non si dica di solito.
L’Unità d’Italia giunge poi a mutare le condizioni politiche, sociali e istituzionali dell’opera italiana: vengono a mancare quasi del tutto i sussidi pubblici, con il risultato di far esplodere il costo dei biglietti d’ingresso, e di stravolgere interamente la sua relazione col pubblico: si entra nell’era delle società di massa, i livelli di cultura si disgregano, nascono nuove sale, e si comincia a parlare della «popolarità» dell’opera, proprio nel momento la sua posizione di bene culturale trasversale – fruito, magari in forme diverse, da spettatori di ogni classe – comincia a vacillare: subentrano diversi orizzonti d’attesa per quanto riguarda le storie raccontate, la musica e il canto, la dimensione scenica, il modo di stare a teatro, di vedere e di ascoltare. Una storia di cambiamenti, che ci spinge anche a chiederci cos’è l’opera per noi, oggi, e come può parlare agli spettatori del nostro mondo.
Carlida Steffan insegna nel Conservatorio di Modena. Ha studiato la produzione liturgica e oratoriale del Sei-Settecento, la musica nella sociabilità privata ottocentesca (Cantar per salotti, Pisa, 2005), la messinscena operistica ottocentesca e contemporanea. Ha curato le edizioni critiche della musica vocale da camera di Bellini (Milano 2012) e di Verdi (Chicago, in preparazione). Da molti anni partecipa alle attività didattiche avanzate del Teatro La Fenice.
Luca Zoppelli è professore emerito dell’Università di Fribourg (Svizzera). Si è occupato di estetica musicale del Sei-Settecento e di storia, teoria e filologia del teatro musicale (Rossini, Berlioz, Verdi, Wagner). Ha prodotto edizioni critiche (Bellini, Donizetti), monografie, articoli specialistici, testi divulgativi per varie istituzioni operistiche europee. È l’autore de L’opera come racconto (Venezia, 1994) e di una monografia su Gaetano Donizetti (Milano, 2022).
C’è spazio, poi, anche per chi l’opera la faceva: cantanti (tanto più apprezzati se erano anche dei grandi attori), impresari, librettisti, compositori, tutti però immersi negli usi sociali, nelle pratiche culturali di un’intera società, che partecipa attivamente a ogni passo del processo, propone, discute. E c’è un’immensa ricaduta al di fuori del teatro: gli autori seguono la diffusione del genere e dei suoi “prodotti derivati” nei salotti e nelle associazioni di musicisti dilettanti, nelle strade, nei caffè e nelle chiese. Fanno anche il punto sui rapporti fra opera e processo risorgimentale, molto più complessi e contraddittori di quanto non si dica di solito.
L’Unità d’Italia giunge poi a mutare le condizioni politiche, sociali e istituzionali dell’opera italiana: vengono a mancare quasi del tutto i sussidi pubblici, con il risultato di far esplodere il costo dei biglietti d’ingresso, e di stravolgere interamente la sua relazione col pubblico: si entra nell’era delle società di massa, i livelli di cultura si disgregano, nascono nuove sale, e si comincia a parlare della «popolarità» dell’opera, proprio nel momento la sua posizione di bene culturale trasversale – fruito, magari in forme diverse, da spettatori di ogni classe – comincia a vacillare: subentrano diversi orizzonti d’attesa per quanto riguarda le storie raccontate, la musica e il canto, la dimensione scenica, il modo di stare a teatro, di vedere e di ascoltare. Una storia di cambiamenti, che ci spinge anche a chiederci cos’è l’opera per noi, oggi, e come può parlare agli spettatori del nostro mondo.
Carlida Steffan insegna nel Conservatorio di Modena. Ha studiato la produzione liturgica e oratoriale del Sei-Settecento, la musica nella sociabilità privata ottocentesca (Cantar per salotti, Pisa, 2005), la messinscena operistica ottocentesca e contemporanea. Ha curato le edizioni critiche della musica vocale da camera di Bellini (Milano 2012) e di Verdi (Chicago, in preparazione). Da molti anni partecipa alle attività didattiche avanzate del Teatro La Fenice.
Luca Zoppelli è professore emerito dell’Università di Fribourg (Svizzera). Si è occupato di estetica musicale del Sei-Settecento e di storia, teoria e filologia del teatro musicale (Rossini, Berlioz, Verdi, Wagner). Ha prodotto edizioni critiche (Bellini, Donizetti), monografie, articoli specialistici, testi divulgativi per varie istituzioni operistiche europee. È l’autore de L’opera come racconto (Venezia, 1994) e di una monografia su Gaetano Donizetti (Milano, 2022).
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