Chi ha detto che l'Italia è stata solo il paese del melodramma? A sfatare questo mito ci pensa il Quartetto Indaco, nato nel 2007 da quella straordinaria fucina di talenti che è la Scuola di musica di Fiesole, assieme a quel napoletano «di spirito, di famiglia, di scuola» come si definisce Michele Campanella, che da oltre cinquant'anni porta il pianismo italiano nel mondo. L’occasione è resa ancora più preziosa dall’elegante scenografia – ovvero il Chiostro della Loggetta Lombardesca (nella foto) all’interno del Museo d’Arte della Città di Ravenna, quest’anno fra i luoghi di spettacolo di Ravenna: il concerto di martedì 28 maggio alle 21.30 accosta musiche di Franz Schubert e Giuseppe Martucci: dell'austriaco si ascolterà il Quartetto per archi n. 15, l'ultimo grande capolavoro della sua produzione; del compositore campano, contemporaneo di Puccini, il raro Quintetto con pianoforte in do maggiore op. 45, uno dei grande tesori nascosti della musica cameristica italiana del tardo Romanticismo.
Nel 1826 Franz Schubert impiegò meno di dieci giorni per completare il suo quindicesimo quartetto per archi, l'ultimo di un corpus paragonabile a quello di Beethoven. Ed è infatti a lui che Schubert guarda per ambizione e visione monumentale dell'arte quartettistica. Tutti gli archi, in Schubert, hanno frequenti passaggi in "tremolo" che sottolineano l'atmosfera drammatica e conferiscono una sonorità quasi sinfonica, in cui la presenza dominante del violoncello, "primus inter pares", è affidato il ruolo guida. Come tanti capolavori schubertiani, anche il Quartetto n. 15 dovette aspettare a lungo per rivelarsi, e venne pubblicato postumo soltanto nel 1851, ventitré anni dopo la morte dell'autore.
Giuseppe Martucci è stato uno dei pochissimi compositori italiani del XIX secolo a non essersi cimentato col melodramma, dedicando la sua vita di pianista, direttore e insegnante alla musica pura. Fervido ammiratore di Brahms e Wagner (di cui diresse la prima italiana di Tristano e Isotta), il ventunenne Martucci si fece conoscere all'ambiente musicale nazionale con un biglietto da visita eloquente, il Quintetto con pianoforte in do maggiore, una forma pressoché sconosciuta in Italia, perfettamente sintonizzata con la tradizione cameristica tedesca, come dimostra la capacità di costruire un fitto reticolo di richiami tematici stesi su un segno poetico iridescente e malinconico. Un grande capolavoro cameristico degno di stare accanto alle pietre miliari di Schumann e Brahms.
“Per cinquant’anni ho cercato il Suono e ancora sono per strada”: ama descriversi così Michele Campanella, classe 1947, punto di riferimento nel pianismo italiano, instancabile concertista, divulgatore e interprete di un repertorio vastissimo, che partendo da Liszt ha costruito percorsi di riscoperta su autori quali Clementi, Weber, Poulenc, Busoni, Rossini, Brahms e Saint-Saëns. Ha suonato con le principali orchestre europee e statunitensi, collaborando con direttori quali Riccardo Muti, Claudio Abbado, Gianluigi Gelmetti, Charles Mackerras, Zubin Mehta, Georges Prêtre, Esa-Pekka Salonen, Wolfgang Sawallisch e Christian Thielemann. All’attività di musicista, Campanella affianca quella di scrittore. Nel 2011 Bompiani ha pubblicato il libro Il mio Liszt. Considerazioni di un interprete, un omaggio letterario che il pianista ha voluto dedicare al suo autore di riferimento.
Il Quartetto Indaco (Eleonora Matsuno e Ida Di Vita, violini; Jamiang Santi, viola, e Cosimo Carovani violoncello - nella foto a sinistra di Lucia Ottolini)) nasce nel 2007 presso la Scuola di Musica di Fiesole, grazie all'impulso di Piero Farulli e Andrea Nannoni, ed è oggi considerato tra i più interessanti quartetti d’archi italiani della sua generazione. Vincitore della medaglia d’oro e due ulteriori premi all’Osaka International Competition 2023, è il primo quartetto d’archi italiano nella storia a ricevere il primo premio in un grande concorso internazionale per la sua formazione. Il quartetto ha condiviso il palcoscenico con solisti di fama internazionale, tra cui Enrico Bronzi, Avi Avital, Bruno Canino e Uri Caine, ed è dedicatario di molteplici lavori di compositori come Giovanni Sollima, Federico Maria Sardelli e Alessandro Solbiati.
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