«I critici lo hanno sottovalutato,
un’enorme ingiustizia. Sotto la sua cantabilità c’è qualcosa di
inquietante, un assorto senso esistenziale, una tristezza
mediterranea»: Riccardo Muti ha più volte difeso la maestria
compositiva di Nino Rota (nella foto), ingiustamente ritenuto, soprattutto in
passato, un autore “minore” per l’impegno nel firmare colonne
sonore per il cinema. E più volte Muti ne ha interpretato le
musiche, anche in nome di un legame che risale ai tempi degli studi,
quando Rota era direttore del Conservatorio di Bari e Muti un giovane
studente il cui talento il compositore non tardò a scorgere. Giovedì
20 luglio, alle 21 al Pala De André, Muti è sul podio della sua
Orchestra Cherubini per un concerto che si apre proprio con pagine di
Rota, interpretando sia la sua anima “cinematografica”, con la
Suite da Il Padrino, che la sua anima di compositore “assoluto”
con il Concerto per violoncello n. 2.
La parte solistica di
quest’ultimo è affidata a uno dei più blasonati solisti della
scena internazionale, da oltre un quarto di secolo primo violoncello
dei Wiener Philharmoniker, ovvero Tamás Varga (nella foto) – già ospite del
Festival nel 2020. Il programma si completa con le suggestioni
iberiche della Suite n. 2 de Il cappello a tre punte di
Manuel de Falla e dell’irresistibile Boléro di Maurice
Ravel. Il concerto è possibile grazie al sostegno di BPER Banca.
Per le musiche composte per la “saga” del Padrino di Francis Ford Coppola, Nino Rota si aggiudicò l’Oscar nel 1975, in particolare però per Il Padrino parte II, ché la musica composta per la parte I del 1972 non poté partecipare alla competizione in quanto non originale: lo stesso Rota aveva già utilizzato quello che sarebbe diventato il celeberrimo tema d’amore in un film del 1958, oggi dimenticato, Fortunella di Eduardo De Filippo. Le otto parti che compongono la Suite provengono, in ogni caso, da entrambi i film, e sono certamente più note al grande pubblico del Concerto per violoncello n. 2 che Rota compose sempre nel 1972, quale omaggio a uno strumento che amava in modo particolare. La leggerezza spensierata dell’Allegro iniziale, dopo il tono notturno e rapsodico dell’Andantino centrale sfocia nel virtuosismo discreto del Finale.
Entrambe pensati per la danza sono le opere che Riccardo Muti (nella foto) ha scelto per completare il programma di questo concerto. El sombrero de tres picos è il frutto dell’insistenza con cui Djagilev a lungo chiese a Manuel de Falla di comporre le musiche per un balletto di ambientazione andalusa per i suoi Ballets Russes (a dipingerne il sipario con una plaza de toros fu Pablo Picasso). Dopo il successo riscosso alla prima al Teatro Alhambra di Londra nel 1919, con le coreografie di Léonide Massine, il compositore ne ricavò, nel 1921, due Suite – la seconda si compone di tre danze di ispirazione popolare: seguidilla, farruca e jota.
Allo stesso modo, Ravel con il Boléro risponde, nel 1928, all’invito dell’amica Ida Rubinstein di comporre le musiche per un balletto di carattere ispanico. Certo non poteva immaginare che quell’originaria destinazione sarebbe stata del tutto dimenticata e il pubblico conquistato per sempre dalla misteriosa malia che attraversa la pagina, costruita su un tema di sedici battute in do maggiore, alternato a una variante tinta in minore, su un ritmo inesorabile attraverso il quale si realizza un effetto ipnotico, con la sola variazione affidata ai timbri in un implacabile crescendo di suono. Insomma, una delle opere più amate e più eseguite di sempre.
Per le musiche composte per la “saga” del Padrino di Francis Ford Coppola, Nino Rota si aggiudicò l’Oscar nel 1975, in particolare però per Il Padrino parte II, ché la musica composta per la parte I del 1972 non poté partecipare alla competizione in quanto non originale: lo stesso Rota aveva già utilizzato quello che sarebbe diventato il celeberrimo tema d’amore in un film del 1958, oggi dimenticato, Fortunella di Eduardo De Filippo. Le otto parti che compongono la Suite provengono, in ogni caso, da entrambi i film, e sono certamente più note al grande pubblico del Concerto per violoncello n. 2 che Rota compose sempre nel 1972, quale omaggio a uno strumento che amava in modo particolare. La leggerezza spensierata dell’Allegro iniziale, dopo il tono notturno e rapsodico dell’Andantino centrale sfocia nel virtuosismo discreto del Finale.
Entrambe pensati per la danza sono le opere che Riccardo Muti (nella foto) ha scelto per completare il programma di questo concerto. El sombrero de tres picos è il frutto dell’insistenza con cui Djagilev a lungo chiese a Manuel de Falla di comporre le musiche per un balletto di ambientazione andalusa per i suoi Ballets Russes (a dipingerne il sipario con una plaza de toros fu Pablo Picasso). Dopo il successo riscosso alla prima al Teatro Alhambra di Londra nel 1919, con le coreografie di Léonide Massine, il compositore ne ricavò, nel 1921, due Suite – la seconda si compone di tre danze di ispirazione popolare: seguidilla, farruca e jota.
Allo stesso modo, Ravel con il Boléro risponde, nel 1928, all’invito dell’amica Ida Rubinstein di comporre le musiche per un balletto di carattere ispanico. Certo non poteva immaginare che quell’originaria destinazione sarebbe stata del tutto dimenticata e il pubblico conquistato per sempre dalla misteriosa malia che attraversa la pagina, costruita su un tema di sedici battute in do maggiore, alternato a una variante tinta in minore, su un ritmo inesorabile attraverso il quale si realizza un effetto ipnotico, con la sola variazione affidata ai timbri in un implacabile crescendo di suono. Insomma, una delle opere più amate e più eseguite di sempre.
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