All’autista di Mussolini piaceva
raccontare che Hitler aveva scelto di imitare i baffi di Charlie
Chaplin perché voleva assomigliare all’uomo più amato al mondo;
l’aneddoto è falso, ma non lo è la bizzarra coincidenza per cui
Chaplin e Hitler condividono anno, mese e settimana di nascita – a
quattro giorni di distanza, il mondo ricevette in regalo il
“vagabondo” che avrebbe commosso e fatto ridere milioni di
persone…e il dittatore che milioni avrebbe perseguitato. Se si
aggiunge la (strumentale) passione del Terzo Reich per il cinema, Il
grande dittatore, parodia del Nazismo e primo film di Charlie Chaplin
con dialoghi parlati, era destino: venerdì 21 luglio, alle 21.30 al
Pavaglione di Lugo, la pellicola-capolavoro del 1940 sarà proiettata
nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna nel 2016, con la
colonna sonora scrupolosamente ricostruita dal super-specialista
Timothy Brock, che la dirigerà sul podio della Filarmonica
Toscanini. La colonna sonora ideata dallo stesso Chaplin e Meredith
Wilson contiene brani di Brahms e Wagner – come le note
del Lohengrin su cui il dittatore danza con un grosso
mappamondo fin quando non gli esplode fra le mani.
Quest’appuntamento, con cui Ravenna Festival rinnova il connubio
fra cinema e musica dal vivo, è possibile grazie al sostegno di QN
Il Resto del Carlino.
“Chaplin è sempre stato un ardente ammiratore e profondo conoscitore della musica sinfonica classica – sottolinea Timothy Brock, nella foto – e ne Il grande dittatore ci ha regalato due sequenze, divenute paradigmatiche per entrambi i personaggi che interpreta nella pellicola, nel vero linguaggio del cinema muto: la Danza ungherese n. 5 di Brahms accompagna la vivace rasatura del barbiere, mentre il Preludio del terzo atto del Lohengrin di Wagner cattura, in modo poetico, la fragilità del mondo sull’orlo della guerra. Inoltre, questo film contiene una delle composizioni più belle e ispirate di Chaplin: Hope Springs Eternal è un brano lento e struggente che l'autore utilizza nei momenti più bui del film, come a fornire un barlume di speranza quando tutto sembra perduto”. Chaplin, insomma, conosceva e capiva il potere della musica ed è per questo che era sempre profondamente coinvolto nelle scelte musicali. Il compositore americano Meredith Wilson, che collaborò alla colonna sonora, ricorda come Chaplin non solo canticchiava i motivetti o li accennava al piano, ma finiva per calarsi nei panni dei vari personaggi, recitando intere scene, ballandole quasi, per suscitare una “risposta musicale” in sé e nei suoi collaboratori.
Pare – lo racconta il figlio Charles Jr – che Chaplin rimuginasse sulle disturbanti somiglianze fra lui e Hitler: non solo i baffi e le loro date di nascita, ma anche la scalata dalla povertà all’attenzione del pubblico mondiale; pensaci, ripeteva Chaplin, lui è il folle e io sono il comico…ma avremmo potuto essere l’uno al posto dell’altro. Forse è per esorcizzare l’inquietudine del doppio che Il grande dittatore è una storia di scambio di persona: nel fittizio stato di Tomania, il feroce e paranoide dittatore Adenoid Hynkel perseguita gli ebrei, ma un tranquillo barbiere, che gli assomiglia come una goccia d’acqua, incidentalmente prende il suo posto… Chaplin interpretò entrambi i ruoli; dopo tutto aveva qualche conto personale da saldare con i Nazisti, che nel 1934 l’avevano descritto come un “disgustoso acrobata ebreo” (anche se Chaplin non era ebreo, ma d’altronde i fatti sono sempre stati superflui per i totalitarismi).
Anni più tardi, Chaplin dichiarò che se fosse stato pienamente a conoscenza degli orrori nazisti, non ne avrebbe fatto materia comica; eppure Il grande dittatore fu uno dei primi film di Hollywood che affrontarono il problema dell’antisemitismo, in un’epoca in cui gli Stati Uniti avevano scelto di non intervenire nel conflitto europeo a favore di una politica di auto-isolamento. All’ascesa di Hitler, Hollywood decise di evitare qualsivoglia critica, sia perché si credeva di poter solo peggiorare la posizione degli ebrei in Europa sia per tutelare le vendite sui mercati europei. Al contrario, Chaplin contribuì a minare la reputazione di Hitler, rendendolo un personaggio meritevole di dileggio e derisione. Per quanto Chaplin non abbia mai sostenuto di fare cinema politico, i suoi film sono politici nella misura in cui il suo little tramp, il vagabondo, non si conforma alla società e non si inchina all’autorità.
Gli appuntamenti al Pavaglione, organizzati in collaborazione con il Comune di Lugo e il Teatro Rossini, continuano con la band di culto Fast Animals and Slow Kids (22 luglio), per la prima volta in veste sinfonica grazie all’Orchestra La Corelli diretta da Carmelo Emanuele Patti, e la band del chitarrista Mike Stern (23 luglio) che – forte dell’aver militato nei Blood, Sweat & Tears e aver lavorato con Billy Cobham e Miles Davis – sa spaziare dal jazz classico alla fusion.
“Chaplin è sempre stato un ardente ammiratore e profondo conoscitore della musica sinfonica classica – sottolinea Timothy Brock, nella foto – e ne Il grande dittatore ci ha regalato due sequenze, divenute paradigmatiche per entrambi i personaggi che interpreta nella pellicola, nel vero linguaggio del cinema muto: la Danza ungherese n. 5 di Brahms accompagna la vivace rasatura del barbiere, mentre il Preludio del terzo atto del Lohengrin di Wagner cattura, in modo poetico, la fragilità del mondo sull’orlo della guerra. Inoltre, questo film contiene una delle composizioni più belle e ispirate di Chaplin: Hope Springs Eternal è un brano lento e struggente che l'autore utilizza nei momenti più bui del film, come a fornire un barlume di speranza quando tutto sembra perduto”. Chaplin, insomma, conosceva e capiva il potere della musica ed è per questo che era sempre profondamente coinvolto nelle scelte musicali. Il compositore americano Meredith Wilson, che collaborò alla colonna sonora, ricorda come Chaplin non solo canticchiava i motivetti o li accennava al piano, ma finiva per calarsi nei panni dei vari personaggi, recitando intere scene, ballandole quasi, per suscitare una “risposta musicale” in sé e nei suoi collaboratori.
Pare – lo racconta il figlio Charles Jr – che Chaplin rimuginasse sulle disturbanti somiglianze fra lui e Hitler: non solo i baffi e le loro date di nascita, ma anche la scalata dalla povertà all’attenzione del pubblico mondiale; pensaci, ripeteva Chaplin, lui è il folle e io sono il comico…ma avremmo potuto essere l’uno al posto dell’altro. Forse è per esorcizzare l’inquietudine del doppio che Il grande dittatore è una storia di scambio di persona: nel fittizio stato di Tomania, il feroce e paranoide dittatore Adenoid Hynkel perseguita gli ebrei, ma un tranquillo barbiere, che gli assomiglia come una goccia d’acqua, incidentalmente prende il suo posto… Chaplin interpretò entrambi i ruoli; dopo tutto aveva qualche conto personale da saldare con i Nazisti, che nel 1934 l’avevano descritto come un “disgustoso acrobata ebreo” (anche se Chaplin non era ebreo, ma d’altronde i fatti sono sempre stati superflui per i totalitarismi).
Anni più tardi, Chaplin dichiarò che se fosse stato pienamente a conoscenza degli orrori nazisti, non ne avrebbe fatto materia comica; eppure Il grande dittatore fu uno dei primi film di Hollywood che affrontarono il problema dell’antisemitismo, in un’epoca in cui gli Stati Uniti avevano scelto di non intervenire nel conflitto europeo a favore di una politica di auto-isolamento. All’ascesa di Hitler, Hollywood decise di evitare qualsivoglia critica, sia perché si credeva di poter solo peggiorare la posizione degli ebrei in Europa sia per tutelare le vendite sui mercati europei. Al contrario, Chaplin contribuì a minare la reputazione di Hitler, rendendolo un personaggio meritevole di dileggio e derisione. Per quanto Chaplin non abbia mai sostenuto di fare cinema politico, i suoi film sono politici nella misura in cui il suo little tramp, il vagabondo, non si conforma alla società e non si inchina all’autorità.
Gli appuntamenti al Pavaglione, organizzati in collaborazione con il Comune di Lugo e il Teatro Rossini, continuano con la band di culto Fast Animals and Slow Kids (22 luglio), per la prima volta in veste sinfonica grazie all’Orchestra La Corelli diretta da Carmelo Emanuele Patti, e la band del chitarrista Mike Stern (23 luglio) che – forte dell’aver militato nei Blood, Sweat & Tears e aver lavorato con Billy Cobham e Miles Davis – sa spaziare dal jazz classico alla fusion.
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