mercoledì 30 ottobre 2019

Dindo e De Maria al Verdi di Padova










5 Nov 2019
Padova / Teatro Verdi, sala del ridotto

Enrico Dindo, violoncello
Pietro De Maria, pianoforte

Programma
Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968) – Notturno sull’acqua op. 82a (1935)
Silvio Omizzolo (1905-1991) – Concerto per violoncello archi e pianoforte (1957-58) (trascrizione per violoncello e pianoforte dell’autore)
Fryderyk Chopin (1810-1849) – Sonata in sol minore op. 65 (1845-46)

Mario Castelnuovo-Tedesco è uno dei compositori italiani costretti a lasciare il suo paese a causa delle leggi razziali. Rifugiatosi a Los Angeles nel 1939, diviene cittadino americano nel 1946 e rimane negli Stati Uniti fino alla morte. La sua produzione mostra una leggerezza melodica nuova, attenuata da un’eleganza che richiama i francesi. Il suo è un linguaggio moderno che sa recepire, ad esempio, i movimenti di danza contemporanea (fox-trot, blues, ecc.) ma non respinge il recupero di un’espressività tradizionale, neoromantica. Gli anni trenta, l’ultimo decennio trascorso in Italia, vedono la sua affermazione nel campo del teatro musicale e il proliferare di opere, musiche di scena, composizioni sinfoniche e cameristiche. Fra queste il Notturno sull’acqua che dipinge un quadro di sognante malinconia in riva all’Arno, alla Gonfolina, in una sera di giugno. È musica scritta con eleganza e fascino e con scorci di magia. L’inizio ombroso e modale del pianoforte precede il tema del violoncello che sembra trattenuto nel suo blando tentativo di slancio incompiuto. L’atmosfera è sconsolata anche quando il violoncello si sposta nel registro acuto, e un senso di stasi pervade la composizione fino all’impeto centrale che funge da culmine del brano. Il risveglio è di breve durata e l’andamento ritorna alla sognante malinconia dell’inizio, vivificata alla fine da un tenue senso di speranza.
Tra il 1957 e il 1958 Omizzolo compone il Concerto per violoncello, archi e pianoforte (Premio Marzotto 1958), lavoro scritto per il violoncellista Max Cassoli e l’Orchestra Tartini di Padova, che lo eseguono per la prima volta il 3 febbraio 1959 presso la Sala dei Giganti al Liviano. Il Concerto si articola in tre tempi distinti e di carattere contrastante. Nel primo il solista domina sicuro, sostenendo quasi tutto l’arco di un discorso che il pianoforte accompagna, punteggia e commenta. Il secondo è costituito da una melodia, raccolta e accorata, divisa in alcuni episodi connessi, più che dal dipanarsi di un filo tematico, dallo snodarsi di una trama sonora. Il terzo tempo propone un brioso e spigliato Rondò, strumentalmente indovinato, che conclude degnamente il concerto. Anche in questo lavoro si sente la presenza di un pensiero musicale che si è creato il proprio vocabolario. L’autore si riassume nei suoi caratteri essenziali e, pur valendosi di temi costituiti da cellule dodecafoniche, non modifica sostanzialmente il suo tipico linguaggio e non rinuncia a quella libertà fantastica di cui si è sempre avvalso. (Bruno Coltro).
La Sonata op. 65 per violoncello e pianoforte è una delle ultime composizioni scritte da Chopin, in quanto risale al 1847 ed è dedicata al violoncellista Auguste Franchomme, grande amico del compositore polacco con il quale tenne l’ultimo concerto a Parigi il 16 febbraio 1848. In questa occasione furono eseguiti tre tempi (Scherzo-Largo-Finale) della Sonata op. 65, pubblicata poi anche in una versione per violino e pianoforte (la trascrizione è di Ferdinand David) e in una versione per pianoforte solo di Moscheles. La Sonata op. 65 è in un certo senso un omaggio ad una forma musicale settecentesca che vede il pianoforte accompagnato da un altro strumento, quasi che l’autore, pianista eccelso, voglia evidenziare una nuova ricerca timbrica. Va detto però che Chopin afferma sempre la sua personalità pianistica, tanto che nell’Allegro moderato del primo tempo la ricchezza della scrittura e il predominio del pianoforte sono molto evidenti e pongono in una posizione secondaria la parte del violoncello. Il tema principale ha una chiara linea melodica e offre al pianoforte i migliori spunti per affermare il proprio ruolo dominatore. Più equilibrati nel rapporto e nel dialogo concertante fra i due strumenti sono il brillante Scherzo e il nostalgico e conciso Largo, mentre nel Finale il pianoforte torna ad essere protagonista, impegnato in passaggi vigorosi e tecnicamente anche difficili, tanto da fugare la diceria secondo cui la malattia, entrata in una fase acuta nel 1847, abbia dissuaso Chopin dal perseguire un pianismo ad alto livello. Si può dire che questa Sonata, raramente inclusa nei programmi concertistici, rientri a pieno diritto in quello scelto repertorio della musica da camera con pianoforte che avrebbe avuto ampia diffusione nell’epoca romantica, sino a Brahms.

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