venerdì 29 marzo 2024

Gli appuntamenti dell'ORT ad aprile 2024

 

Ad aprile il cartellone prosegue con due grandi produzioni in tour in Toscana e non solo. Due ritorni sul podio, quello di Umberto Clerici e Erina Yashima e due solisti al debutto con l'ORT (l'orchestranella foto di Marco Borrelli). 

L’ultima volta che l’ORT ha suonato con Umberto Clerici (nella foto), nel decennio scorso, lui era violoncellista. Adesso lo ritroviamo direttore principale della Queensland Symphony Orchestra, in Australia, e ormai dedito quasi più al podio che allo strumento con cui ha raggiunto tutti i traguardi possibili. Ora l’essersi dato alla direzione gli consente di intendere la musica da un’altra prospettiva. Infatti, dice, «quando suoni il violoncello stai seduto di fronte al pubblico, anche se poi il solista non fa troppo caso a chi gli sta davanti, perché è come se pensasse la musica dentro se stesso. Invece, dirigendo, ci si trova davanti un’orchestra che suona per te, ed è come se il direttore facesse parte del pubblico, sebbene abbia più controllo sulla situazione musicale». Insieme all’ORT propone la più graziosa (e simpatica) tra le sinfonie di Beethoven, l’Ottava, e un pezzo da novanta del repertorio violinistico, il Concerto op.64 di Mendelssohn. Ne è solista Marc Bouchkov, belga di origini russo-ucraine, che nel 2018 la rivista inglese “Gramophon” ha inserito tra i musicisti che vanno tenuti sott’occhio. 
Concerti a Pistoia (6 apr), Poggibonsi (8 apr), Piombino (9 apr), Firenze (10 apr), Figline (11 apr). La produzione debutta però fuori Regione, a Piacenza il 5 aprile e, solo per questa occasione, solista al violino sarà Francesca Dego, volto noto nei cartelloni dell’ORT nonché violinista presente nelle maggiori stagioni sinfoniche e da camera d’Europa, Stati Uniti e Asia. 

Segue a ruota un'altra produzione della Stagione Concertistica ORT con un bel ritorno sul podio. Si tratta della giovane e talentuosa direttrice d'orchestra Erina Yashima (nella foto di Todd Rosenberg).
Una guidatrice provetta, come dimostra il percorso folgorante che in una manciata d’anni l’ha portata dall’essere studentessa e assistente di bacchetta leggendarie a prendere su di sé la responsabilità di grandi orchestre come la nomina a primo direttore della Komische Oper di Berlino arrivata a settembre 2022. Lei, origini giapponesi, passaporto tedesco, ha studiato in Germania e a Vienna. Anno di svolta il 2015, quando ha partecipato all’Opera Academy verdiana tenuta a Ravenna da Riccardo Muti, di cui poi è stata assistente a Chicago. Nel primo dei due programmi fissati insieme all’ORT (l'altro sarà a maggio a chiusura del Cartellone), collabora con Martin Owen, primo corno della BBC Symphony che si cimenta con il Concerto n.2 di Richard Strauss, partitura con lo sguardo rivolto nostalgicamente al passato. Poi si ascolta la Sinfonia Dal Nuovo Mondo di Antonín Dvořák. In apertura l’Ouverture da Der Freischütz (Il franco cacciatore) di Carl Maria von Weber. In tour a Empoli (16 apr), Pisa (17 apr), il Verdi di Firenze (18 apr) e La Spezia (19 apr).

A fine mese, il 24 aprile, il direttore principale dell’ORT Diego Ceretta riprende la produzione di inizio marzo, dedicata a Mozart, e insieme a tutta l’orchestra si reca al Teatro Garibaldi di Figline. Con lui, a questo giro, c’è il pianista brianzolo Filippo Gorini (nella foto), classe 1996, che già da qualche anno è «lassù», sulle vette dell’intelligenza. Vincitore del “Premio Abbiati”, prestigioso riconoscimento della critica musicale italiana, quale “miglior solista” dell’anno 2022, è figlio di due noti fisici nucleari, il padre suonava il piano in casa e Filippo è caduto dentro la tastiera in modo naturale, a 5 anni. Viene considerato, anche a causa della famiglia che lavora coi numeri, l’erede di Pollini per l’approccio «intellettuale». Lo ascolteremo nel Concerto K.466, il più noir tra i concerti pianistici di Mozart. In apertura la Prima Sinfonia, la K.16, scritta dal compositore salisburghese a soli 9 anni. E poi, chi meglio della Jupiter, può salutare il pubblico?! Sinfonia monumentale, superba come Giove di cui porta il nome.


A Torino The Tender Land, prima esecuzione in Italia dell’opera di Aaron Copland

 

Domenica 7 aprile alle ore 16, al Piccolo Regio Puccini va in scena la prima esecuzione in Italia di The Tender Land, opera in tre atti di Aaron Copland su libretto di Horace Everett.
Copland affermò che, per esaltare la bellezza semplice del suo lavoro, «l’ideale sono le sale piccole, gli interpreti freschi e un pubblico dal cuore giovane». Il Regio aggiunge artisti altrettanto giovani: il direttore d’orchestra Alessandro Palumbo, il regista Paolo Vettori e un team di giovani interpreti, ovvero gli artisti del Regio Ensemble. Il Coro del Regio è istruito da Ulisse Trabacchin. Le scene del nuovo allestimento sono di Claudia Boasso, i costumi di Laura Viglione e le luci di Gianni Bertoli.
Il Sovrintendente Mathieu Jouvin dichiara: «Credo fermamente che sia compito di una istituzione culturale come il Teatro Regio proporre grandi titoli e compositori della tradizione italiana, ma non solo. Dopo la felice esperienza con Powder Her Face, andato in scena nella passata Stagione, il Piccolo Regio Puccini torna a essere il luogo dove sperimentare e arricchire la programmazione, fornendo stimoli e differenti punti di vista, come l’accostamento dell’operetta di Offenbach Un mari à la porte al grand-opéra La Juive, e di The Tender Land di Copland alla Fanciulla del West».
Autore di balletti di successo – Billy the Kid, Rodeo, Appalachian Spring – e di musica da film, Aaron Copland aveva già composto l’opera in due atti The Second Hurricane nel 1936, rappresentata l’anno successivo con la regia del giovanissimo Orson Welles. Per The Tender Land, del 1954, si ispirò alla realtà descritta in un notissimo libro del poeta e critico James Agee, Let Us Now Praise Famous Men, un reportage giornalistico, resoconto di un viaggio nel sud rurale degli Stati Uniti durante la Grande Depressione, illustrato con immagini del grande fotografo Walker Evans; soprattutto alcune di queste fotografie, che ritraevano donne di campagna, fornirono ampie suggestioni per il soggetto. Ne risultò un’opera intima, che seppe conquistare i giovani artisti dei college newyorkesi, complici le danze e le melodie modellate sul folklore americano, le pagine corali piene di sentimento e soprattutto la vicenda della giovane protagonista, che nei giorni del diploma scopre l’amore, la delusione e un irresistibile desiderio d’indipendenza.
 
Alessandro Palumbo è direttore d’orchestra, pianista e compositore e ha al suo attivo già importanti presenze presso prestigiosi teatri italiani ed europei. Il suo debutto operistico è del 2014 sul podio della Orquesta Sinfónica de Tenerife nel Don Quichotte di Jules Massenet. Ha collaborato con Jader Bignamini ed Evelino Pidò. Ha curato l’orchestrazione dell’operetta Un marie à la porte di Jacques Offenbach andata in scena a ottobre al Piccolo Regio Puccini.
Paolo Vettori, nato a Roma nel 1989, all’età di 9 anni entra nel Coro di voci bianche del Teatro Regio, partecipando a sei stagioni d’opera e concerti. Studia dizione, recitazione e doppiaggio; si diploma presso l’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. Ha fatto parte del Regio Ensemble e per il nostro Teatro ha curato la regia del nuovo allestimento di Powder Her Face del compositore inglese Thomas Adès. Come assistente alla regia o regista di ripresa ha collaborato e lavora al fianco di professionisti di grande fama come Lorenzo Amato, Sven-Eric Bechtolf, Edoardo De Angelis, Daniele Finzi Pasca, William Friedkin, Chiara Muti, Ferzan Özpetek, Silvia Paoli.
Protagonisti in scena sono: il soprano Irina Bogdanova, nei panni della protagonista Laurie Moss; il tenore Michael Butler in quelli del vagabondo Martin; il basso Tyler Zimmerman è il Grandpa Moss; il contralto Ksenia Chubunova Ma Moss e il baritono Andres Cascante il vagabondo Top. Il cast si completa con: Valentino Buzza (Mr. Splinters), Giulia Medicina (Mrs. Splinters), Davide Motta Fré (Mr. Jenks), Junghye Lee (Mrs. Jenks), Eun Young Jang (Una ragazza e Voce fuori scena), Giovanni Castagliuolo (Un uomo), Roberto Calamo (Altro uomo) e le voci bianche Layla Nejmi e Minerva Bonizio che si alterneranno nel ruolo di Beth Moss. Irina Bogdanova, Tyler Zimmerman, Ksenia Chubunova e Andres Cascante sono artisti del Regio Ensemble.
 
The Tender Land è eseguita in lingua originale inglese, con sopratitoli in italiano; il libretto sarà disponibile in digitale, scaricabile con qr-code dal programma di sala.
L’opera sarà presentata mercoledì 3 aprile presso la Sala del Caminetto alle ore 18; l’incontro – a ingresso libero – è condotto da Susanna Franchi, con la partecipazione degli artisti del Regio Ensemble che eseguiranno brani dal vivo.
 
Recite di aprile: domenica 7 ore 16 e giovedì 11 ore 20. Recite di maggio: sabato 4 ore 20, domenica 5 ore 16 e martedì 7 ore 20.
Biglietti: Posto unico € 30 – Under 30 € 24 - Regio Card Giovani € 10, in vendita alla Biglietteria del Teatro Regio e on line

(le foto sono di Walker Evans)

SANTA CECILIA: RINALDO ALESSANDRINI DIRIGE L'ENSEMBLE CONCERTO ITALIANO NEI 12 CONCERTI PER ARCHI DELL'ESTRO ARMONICO

 

Tornano ospiti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dopo quattordici anni di assenza, il direttore romano Rinaldo Alessandrini (1960) e l’ensemble da lui fondato nel 1984 Concerto Italiano, acclamati interpreti e ambasciatori nel mondo del repertorio del Sei e Settecento. Mercoledì 3 aprile alle ore 20.30 (Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Sala Sinopoli) eseguiranno l’Estro armonico op. 3 di Antonio Vivaldi, una raccolta di dodici concerti per uno o più violini, archi e basso continuo pubblicati ad Amsterdam nel 1711, in cui il “Prete rosso” esalta le innumerevoli possibilità delle varie combinazioni tra solisti e orchestra. Il successo della raccolta, come scrive Rinaldo Alessandrini, “fu enorme e decretò Vivaldi come il compositore veneziano più conosciuto fuori dai confini della Repubblica”. Il titolo della raccolta, forse dato dall’editore Estienne Roger o dallo stesso compositore, esprime il carattere estremamente composito della raccolta e l’ambientazione espressiva: “Troviamo infatti nella raccolta”, continua ancora il direttore, “il furore, l’energia poetica, unito a uno sforzo d’immaginazione come poche volte se ne sono visti nelle composizioni strumentali del 18° secolo”.

Rinaldo Alessandrini (nella foto di Lorraine Wauters - Opera Royal de Wallonie), che nel 2003 insieme a Concerto Italiano ha ricevuto il premio Abbiati per l’attività svolta, nelle ultime stagioni è stato ospite di celebri orchestre quali la Detroit Symphony Orchestra, Scottish Chamber Orchestra, Washington Symphony Orchestra, Deutsches Symphonie-Orchester Berlin, Freiburger Barockorchester e tra il 2009 e il 2016 ha eseguito al Teatro alla Scala, insieme a Concerto italiano, la “trilogia” monteverdiana (Orfeo, L’incoronazione di Poppea, Il ritorno di Ulisse in patria) con la regia di Bob Wilson. Nei suoi quarant’anni di vita Concerto Italiano si è esibito nelle sale più prestigiose d’Europa, Stati Uniti, America del Sud, Australia, Giappone, Cina e Corea. La loro registrazione delle Quattro Stagioni di Vivaldi è stata decretata dalla critica inglese come la migliore attualmente sul mercato mentre la discografia di Concerto Italiano, composta da circa 120 cd, cd è stata premiata con cinque Gramophone Awards, due Grand Prix du Disque e tre Premi della Critica Discografica Tedesca. 

Da New York a Modena, la compagnia fondata dalla coreografa Yue Yin con due dei più bei brani del suo repertorio

 

Prosegue venerdì 5 aprile 2024 alle 20.30 Modena Danza al Teatro Comunale di Modena con la newyorkese Yue Yin Dance Company. Lo spettacolo porta a Modena due diversi titoli: Ripple, presentato per la prima volta nel 2021 al 92Y Harkness Mainstage di New York, è un lavoro di gruppo che affronta il conflitto fra ordine e caos alla ricerca di un equilibrio di vita; Through The Fracture of Light, visto per la prima volta nel 2016 allo Schrittmacher Festival di Aquisgrana, in Germania, è un pezzo d’insieme dinamico che mostra al meglio la caratteristica FoCo Technique della compagnia. Dopo la première, il lavoro è stato presentato al Jacob's Pillow Inside Out Dance Festival, SummerStage, Open Door Festival e Peridance Theatre
Yue Yin Dance Company è un gruppo di danza contemporanea che si dedicata all'insegnamento, alla produzione e all'esecuzione di opere coreografiche originali della fondatrice e direttrice artistica Yue Yin. Nell'ultimo decennio, Yin ha perfezionato e ampliato un vocabolario di movimento originale - FoCo Technique™ - nato dalla fusione della tradizione popolare cinese e della danza contemporanea. La visione di YYDC è incorporare questo stile caratteristico nelle produzioni originali della compagnia e nelle frequenti commissioni coreografiche, realizzando spettacoli originali, dinamici, emotivamente e fisicamente coinvolgenti e presentando le proprie opere a livello internazionale. La finalità della compagnia è anche quella di coltivare l'interesse del pubblico per la danza contemporanea, presentando opere artisticamente responsabili e socialmente consapevoli. La FoCo Technique si è rapidamente affermata anche quale metodo di formazione riconosciuto dai professionisti della danza.


La compagnia vanta crediti in tournée internazionali, presentando opere in vari festival di danza, quali Schrittmacher Festival in Germania, Jacob's Pillow Dance Festival Inside Out, New York International Fringe Festival, Open Door Dance Festival a Iowa City, The Wave Rising Series, DUMBO DANCE Festival, The Current Sessions, DanceNow [NYC] al Joe's Pub e molti altri. Inoltre, YYDC si è esibita in ambiti importanti quali BAM Fisher, Joyce SoHo Theatre, Peridance Theatre, Lincoln Center Rosh Hall, New York Live Arts e molti altri. Yue Yin ha ricevuto commissioni da compagnie e organizzazioni prestigiose quali la Martha Graham Dance Company, il Boston Ballet, il Philadelphia Ballet, la Limon Dance Company, il Balletto Teatro di Torino e la Juilliard School for Dance di New York.

 Biglietti Da € 7 a € 20 salvo riduzioni

Teatro Massimo. Prorogata al 30 aprile la mostra “Scenario Volti dello spettacolo” di Enzo Sellerio

 

E’ stata prorogata al 30 aprile la mostra fotografica “Scenario - Volti dello spettacolo” allestita nella Sala Pompeiana del Teatro Massimo di Palermo e dedicata al grande fotografo ed editore Enzo Sellerio di cui ricorre il centenario della nascita. Quaranta fotografie che raccontano il rapporto di Sellerio con il mondo dell’arte e dello spettacolo. Tra queste, scatti dal set del film Il Gattopardo, foto di scena dei celebri balletti di Milloss, coreografo del Teatro Massimo per due stagioni, o il ritratto di Igor Stravinskij nel suo concerto palermitano.
La  mostra, organizzata da Sellerio editore e curata da Sergio Troisi e Olivia Sellerio, è inclusa nell’itinerario delle visite guidate al Teatro Massimo senza alcun costo aggiuntivo ed è accessibile anche agli spettatori delle opere e dei concerti in programma a Teatro per tutto il mese di aprile.

Per chi volesse visitare esclusivamente la mostra, il biglietto d’ingresso ha un costo di 3 euro. Orari: tutti i giorni, dal lunedì alla domenica, dalle 9.00 alle 17.30 (ultimo ingresso alle ore 17.00).



L’incanto fragile del mondo 
Nel 1956 Enzo Sellerio tenne una mostra personale alla Galleria dell’Obelisco di Roma diretta da Irene Brin e Gaspero Del Corso, uno dei luoghi più vivaci della scena artistica e culturale della capitale. Sellerio aveva all’epoca 32 anni, le sue fotografie erano pubblicate su Il Mondo di Mario Pannunzio e un reportage di importanza fondamentale su Partinico, che documentava l’impegno sociale e politico di Danilo Dolci, era stato pubblicato nel 1955 col titolo «Borgo di Dio» sulla rivista Cinema Nuovo diretta da Guido Aristarco, contribuendo in modo determinante a diffondere una nuova iconografia della Sicilia che avrebbe fatto scuola. Gli incontri con artisti, scrittori e poeti favoriti dalla mostra romana costituirono probabilmente per Sellerio l’occasione per confrontarsi in modi più continui con il motivo del ritratto: anche nelle precedenti fotografie siciliane sono presenti dei ritratti, alcuni di rara intensità, ma in quel caso l’indagine del volto era comunque intrecciata al documento sociale o a quell’innesco narrativo – tutto può essere racconto, dipende dallo sguardo di chi osserva e narra – che rappresenta forse il tratto distintivo per eccellenza del mondo di Sellerio, mai invasivo o giudicante e anzi sempre con un senso di partecipazione cui la necessaria distanza permetteva l’incresparsi di una ironia lieve. Ma nel ritratto propriamente inteso le regole del gioco mutano: sia perché chi è ritratto ne è consapevole, e attende il momento dello scatto, sia perché il fotografo a sua volta aspetta che in quella partita altalenante di complicità e diffidenza si apra una breccia che consenta a chi guarda – il fotografo e noi stessi – di indovinare quel che dalla sua origine si chiede alla fotografia, un barlume sia pure provvisorio di verità. Quando poi chi è ritratto è un attore, un cantante o un musicista, comunque qualcuno abituato a fare del suo volto e del suo corpo uno strumento di espressione, questa partita si complica ulteriormente, in un gioco di specchi che ancora una volta – così è in queste immagini di Sellerio – mette in moto un racconto congetturale: nella relazione con la scena e con i suoi interpreti, che costituisce l’oggetto di questa mostra (quattordici fotografie sono inedite), il centro di attrazione è il ventaglio di possibilità piuttosto che la finzione. Così come quando Tino Buazzelli è colto al trucco nel camerino del Teatro Bellini: è il 1956, la mano impugna la matita, gli occhi già bistrati si osservano allo specchio ma noi possiamo vedere solo il riflesso della lampadina, e allora quello sguardo erra, e noi con lui, dall’obiettivo al volto dell’attore a quello che noi supponiamo essere la sua interiorità, e che inevitabilmente ci chiama in causa. 
Una costruzione sapiente e rigorosa di geometrie oblique, interrogative come non è dato di frequente nel corpus di Sellerio, e infatti di Lydia Alfonsi lo specchio ci restituisce per intero il viso e la mano che controlla l’acconciatura con un gesto aggraziato: nessuna inquietudine del doppio col profilo perduto dell’attrice in primo piano, composto in una linea chiusa ed elegante come il busto rinascimentale di una moderna Eleonora d’Aragona. Prevalgono invece altri accenti, la complicità sorniona di Accursio Di Leo sul palcoscenico del Teatro Massimo, la ritrosia sfuggente di Vittorio Gassman nel camerino del Teatro Biondo, la fissità imperturbabile di Virgil Thomson seduto al pianoforte incorniciato da un telaio di linee sbilenche, la solitudine pensierosa di Alida Valli che da dietro le quinte, la mano col fazzoletto portata alla bocca, sbircia verso la sala; e chissà se, sul set del «Gattopardo», sarà stato un gioco metaletterario a guidare lo scatto in cui Gioacchino Lanza Tomasi, nel romanzo modello per il personaggio di Tancredi, chiacchiera con un sorridente Burt Lancaster truccato da Principe di Lampedusa, un dialogo in cortocircuito tra realtà, finzione cinematografica e pagine del romanzo. A volte invece i toni sono più ironici e divertiti: il gesto con cui nella Parigi del 1962 Patachou (al secolo Henriette Ragon) si aggiusta la scollatura dell’abito, nero come il fondo così che volto e braccia sembrano ritagliati da una unica superficie priva di volume; l’aureola di raggi di pietra che si staglia dietro la testa di Alberto Sordi e che l’attore accentua volgendo gli occhi al cielo, siamo sul set a Villa Palagonia di «Mafioso» di Lattuada, è di nuovo il 1962; l’atteggiamento scanzonato e sorridente con cui Bruno Caruso, Thomas Schippers e Giancarlo Menotti posano dentro tre vasche da bagno durante il cantiere di restauro del Grand Hotel Villa Igiea nel 1957; e ancora l’incrocio delle diagonali di sguardi e braccia del duo pianistico Arthur Gold e Robert Fizdale – la mano sinistra di quest’ultimo risulta mossa come in un dipinto di Bacon – colti in azione al Teatro Biondo nel 1968. Igor Stravinskij, fotografato durante il suo concerto al Teatro Biondo del 21 novembre 1963, alza invece lo sguardo dalla partitura (ha inforcato due paia di occhiali), rivelando così il suo profilo severo e distante, simile a un idolo arcaico. In questa occasione Sellerio era a ridosso del palcoscenico e dell’orchestra, una posizione ravvicinata che si rivela quanto mai congeniale quando ottiene di assistere alle prove dei balletti di Aurel Milloss, il grande coreografo di origine ungherese che per due stagioni, nel 1958 e nel 1959, è direttore del corpo di ballo del Teatro Massimo, in una fase felicissima che portava a Palermo l’eredità dei balletti russi e la lezione della grande danza del Novecento. Di Milloss, Sellerio ha realizzato diversi ritratti, in uno è al lavoro nel laboratorio di sartoria del teatro, la sigaretta col bocchino tra le dita intrecciate, mentre sceglie – i begli occhi dal taglio orientale appena socchiusi – i colori per i costumi. In un breve testo del 2000 in occasione di una mostra dedicata a Milloss al Teatro Massimo, Sellerio ha scritto di questa sua predilezione per il balletto, specificando solo en passant come questa preferenza si accordasse alla danza contemporanea. Scettico nei confronti delle neoavanguardie, Sellerio amava invece della grande avventura della modernità novecentesca il senso del gioco intellettuale e dell’ironia, e poteva agevolmente ritrovarlo nei balletti di Milloss, come queste foto, alcune delle quali inedite, mostrano ampiamente riconducendo l’indagine sul movimento alle fonti della modernità europea, tra Degas, Picasso e Matisse: l’iterazione dei gesti, la rottura della simmetria, gli incastri e la fluidità dei corpi, l’irruzione in apparenza improvvisa del caso, la digressione del tempo in qualcosa di inatteso, sono tutti procedimenti di un codice comune con il suo linguaggio di fotografo, e con quel sentimento di sospensione – cosa è accaduto prima, cosa sta per accadere adesso – che condividiamo con Lisa Manet, sorpresa concentrata prima di entrare in scena, il volto di tre quarti illuminato nella penombra, e con la ballerina seduta da sola al centro del palcoscenico, probabilmente in una pausa durante le prove, mentre davanti a lei si muovono come in un girotondo le ombre di altri ballerini. In più (erano rare all’epoca registrazioni video che ne serbassero la memoria) la danza è la più effimera tra le arti, e nella bellezza caduca di questa filigrana di spazio e tempo Enzo Sellerio forse riconosceva l’incanto fragile del mondo, proprio del suo ricercare. 
Sergio Troisi