22.03.2024 - h 20:30 - Teatro Valli
(Primo turno)
23.03.2024 - h 20:30 - Teatro Valli
(Secondo turno)
24.03.2024 - h 15:30 - Teatro Valli
(Terzo turno)
La Buona Novella è uno spettacolo pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di Fabrizio de André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armeno a frammenti dello Pseudo-Matteo.
Prosa e musica, perciò, montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco del 1970. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria. Di taglio esplicitamente teatrale, costruita quasi nella forma di un’Opera da camera La Buona Novella è il primo concept-album dell’autore, con partitura e testo composti per dar voce a molti personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladrone, il coro delle madri, un falegname, il popolo. Ed è proprio da questa base che prende le mosse la versione teatrale. “Compito di un artista credo sia quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone”. Questa dichiarazione di De André è emblematica di come l’autore si sia posto, in tempi di piena rivolta studentesca, nei confronti di un tema così delicato e dibattuto dal punto di vista politico e spirituale.
Con La Buona Novella De André lavora certo a un’umanizzazione dei personaggi, ma questa traduzione cantata dai temi degli Apocrifi è fatta con grande rispetto etico e religioso. La valenza “rivoluzionaria” della riscrittura sta più nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per qui tempi che nei contenuti o nel taglio ideologico. Solo a tratti nel racconto appare l’attualizzazione; più spesso le ricche e variegate suggestioni immaginifiche, fantastiche e simboliche degli Apocrifi sono ricondotte a una purezza quasi canonica, e talvolta traspare la sensazione che esista, anche per l’autore, la sconvolgente possibilità che in Gesù umanità e divinità abbiano convissuto. Traspare così un percorso parallelo nella interpretazione di De André, da una parte una innata tendenza a mettere in discussione tutto ciò che appare codificato, dogmatico o tradizionale, dall’altro una sensibilità che gli fa preferire tra le molte versioni degli Apocrifi sempre la scelta più nobile, matura e ricca umanamente, alla ricerca di un racconto forse meno sacro, ma sempre profondamente morale.
La drammaturgia aggiunta, recitata in gran parte da Neri Marcorè racconta l’antefatto de L’infanzia di Maria, svelandone la nascita ‘miracolosa’, e riempie il vuoto che va dall’infanzia del Cristo alla Crocifissione. Così 30 anni di vita di Gesù sono sintetizzati in un lungo racconto che ci svela un Cristo bambino anche stizzoso, impulsivo, che si serve dei suoi poteri talvolta per esibizionismo, sia quando accusato resuscita, per poi fa tornar morto, un bimbo caduto da una terrazza per farlo testimoniare a sua discolpa, sia quando in un passo di grande qualità poetica, guida i suoi compagni di gioco in una visionaria cavalcata sui raggi del Sole. Un’elaborazione drammaturgica, perciò, che in qualche modo completa il racconto di De André, trasformando La buona novella non solo in un concerto, ma in uno spettacolo originale, recitato, agito e cantato da una compagnia di attori, cantanti e musicisti che penseranno l’opera di De André come un ricchissimo patrimonio che può comunque ben resistere, come ogni capolavoro, anche all’assenza dell’impareggiabile interpretazione del suo creatore.
Note di Neri Marcorè
Quando avevo più o meno 13 anni, una mia zia molto appassionata di De André mi regalò il vinile de La Buona Novella. Confesso che dopo averlo ascoltato un paio di volte finì nelle retrovie perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi. Tempo dopo cominciai ad apprezzare le sue canzoni grazie al doppio live suonato con la Pfm (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) e da lì mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi, appassionandomi al suo sguardo originale sul mondo, alla cura delle parole, a quella voce profonda al cui registro, col passare degli anni, ho finito curiosamente per aderire. Al punto che circa dieci anni fa ho cominciato a eseguire parte del suo repertorio in concerti dal vivo, con la difficoltà di dover limitare la scaletta a una ventina di pezzi. Con Giorgio Gallione, il regista al quale sono legato da una collaborazione ormai ventennale, dopo aver messo in scena Gaber e molti altri autori, decidemmo di intrecciare le canzoni, le riflessioni di De André con le invettive e il pensiero di Pasolini, nello spettacolo Quello che non ho. L’impatto fu folgorante, tant’è che il cerchio immaginario non poteva che essere chiuso con una rappresentazione su De André o, per meglio dire, attraverso De André.
La Buona Novella infatti è un’opera polifonica che mediante metafora e allegoria parla dell’arroganza del potere, il quale mal digerisce gli uomini troppo liberi di pensiero, intralcio per l’esercizio del potere stesso, sia esso famigliare, religioso o politico. La spiritualità, intrinseca nel momento in cui si parla di Gesù e della Madonna, è però qui contemplata nella sua dimensione terrena, laddove “il più grande rivoluzionario della Storia” resta prima di tutto un uomo, con una fisicità che non lo rende diverso dai suoi simili. Eppure, nonostante i suoi limiti, ogni essere umano può compiere imprese straordinarie e dar vita a nuovi corsi ogni volta che non si pone al primo posto ma si mette al servizio di un bene superiore, collettivo.
Neri Marcorè
La Buona Novella secondo Fabrizio De André
Perché riproporre La buona novella? Perché, per i tempi in cui è stata scritta, si è trattato di un discorso, a parer mio rivoluzionario. E questo per due motivi: ho preso spunto dagli Evangelisti Apocrifi armeni, arabi, bizantini, comunque uomini, scrittori non appartenenti alla confessione di Cristo, insomma non il suo ufficio stampa. Ne è derivata una desacralizzazione dei personaggi del Vangelo, a vantaggio, credo, di una loro maggiore umanizzazione. Ma quando scrissi La buona novella (1969) eravamo in piena rivolta studentesca e ai meno attenti, vale a dire la maggioranza dei fruitori di musica popolare, il disco apparve come anacronistico. Ma cosa andava predicando Gesù di Nazareth se non l’abolizione delle classi sociali, dell’autoritarismo, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali? È un po’ come se io mi fossi rivolto ai miei coetanei che si battevano contro smisurati abusi di potere e di autorità e avessi detto loro: Guardate che lo stesso tipo di lotta l’ha già sostenuta un grande rivoluzionario 1969 anni fa e tutti sappiamo come è andata a finire.
Perché, a parer mio (di allora come di oggi) la lotta contro l’autorità, il potere e i suoi abusi, va combattuta ogni giorno individualmente: certo, ci sono momenti e casi eccezionali in cui è meglio lottare insieme, ma questo insieme deve essere una somma di individualità, non un branco di pecore che lotta in dome di un’ideologia astratta e che si ponga come obiettivo quello di rimpiazzare attraverso l’imposizione dei suoi dogmi lo stesso potere contro cui lotta, nella logica di “leva il culo tu che ce lo metto io”.
Ora compito di un artista credo sia anche quello di commentare gli avvenimenti del suo tempo usando però gli strumenti dell’arte: l’allegoria, la metafora, il paragone. Io osservando la lotta studentesca e le sue istanze, quelle giuste e sensate, ho parlato di un’altra lotta sostenuta da un uomo 2000 anni prima che aveva obiettivi analoghi.
(…) il culmine etico della Buona novella sta nel Testamento di Tito. Il ladrone buono confuta, uno per uno, tutti e dieci i comandamenti mettendo in evidenza la contraddizione tra le leggi emanate dalle classi al potere per proprio comodo, e le difficoltà di attenervisi da parte di chi il potere lo deve solo subire, e osserva quelle leggi, quando le osserva, solo per scongiurare la minaccio della repressione. La buona novella, a parere mio fu allora un album, un discorso assolutamente moderno e per certi aspetti lo è ancora oggi.
Fabrizio De André
La Repubblica – 14 marzo 1999
(le foto dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera)
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