Padova / Teatro Verdi, sala
del ridotto
Pietro De Maria, pianoforte
Programma
Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968) – Notturno sull’acqua op. 82a (1935)
Silvio Omizzolo (1905-1991)
– Concerto per violoncello archi e
pianoforte (1957-58) (trascrizione per violoncello e pianoforte
dell’autore)
Fryderyk Chopin (1810-1849)
– Sonata in sol minore op. 65 (1845-46)
Mario Castelnuovo-Tedesco è
uno dei compositori italiani costretti a lasciare il suo paese a causa delle
leggi razziali. Rifugiatosi a Los Angeles nel 1939, diviene cittadino americano
nel 1946 e rimane negli Stati Uniti fino alla morte. La sua produzione mostra
una leggerezza melodica nuova, attenuata da un’eleganza che richiama i
francesi. Il suo è un linguaggio moderno che sa recepire, ad esempio, i movimenti
di danza contemporanea (fox-trot, blues, ecc.) ma non respinge il recupero di
un’espressività tradizionale, neoromantica. Gli anni trenta, l’ultimo decennio
trascorso in Italia, vedono la sua affermazione nel campo del teatro musicale e
il proliferare di opere, musiche di scena, composizioni sinfoniche e
cameristiche. Fra queste il Notturno sull’acqua che dipinge un quadro di
sognante malinconia in riva all’Arno, alla Gonfolina, in una sera di giugno. È
musica scritta con eleganza e fascino e con scorci di magia. L’inizio ombroso e
modale del pianoforte precede il tema del violoncello che sembra trattenuto nel
suo blando tentativo di slancio incompiuto. L’atmosfera è sconsolata anche
quando il violoncello si sposta nel registro acuto, e un senso di stasi pervade
la composizione fino all’impeto centrale che funge da culmine del brano. Il
risveglio è di breve durata e l’andamento ritorna alla sognante malinconia
dell’inizio, vivificata alla fine da un tenue senso di speranza.
Tra il 1957 e il 1958 Omizzolo
compone il Concerto per violoncello, archi e pianoforte (Premio Marzotto 1958),
lavoro scritto per il violoncellista Max Cassoli e l’Orchestra Tartini di
Padova, che lo eseguono per la prima volta il 3 febbraio 1959 presso la Sala
dei Giganti al Liviano. Il Concerto si articola in tre tempi distinti e di
carattere contrastante. Nel primo il solista domina sicuro, sostenendo quasi
tutto l’arco di un discorso che il pianoforte accompagna, punteggia e commenta.
Il secondo è costituito da una melodia, raccolta e accorata, divisa in alcuni
episodi connessi, più che dal dipanarsi di un filo tematico, dallo snodarsi di
una trama sonora. Il terzo tempo propone un brioso e spigliato Rondò,
strumentalmente indovinato, che conclude degnamente il concerto. Anche in
questo lavoro si sente la presenza di un pensiero musicale che si è creato il
proprio vocabolario. L’autore si riassume nei suoi caratteri essenziali e, pur
valendosi di temi costituiti da cellule dodecafoniche, non modifica
sostanzialmente il suo tipico linguaggio e non rinuncia a quella libertà
fantastica di cui si è sempre avvalso. (Bruno Coltro).
La Sonata op. 65 per
violoncello e pianoforte è una delle ultime composizioni scritte da Chopin, in
quanto risale al 1847 ed è dedicata al violoncellista Auguste Franchomme,
grande amico del compositore polacco con il quale tenne l’ultimo concerto a
Parigi il 16 febbraio 1848.
In questa occasione furono eseguiti tre tempi
(Scherzo-Largo-Finale) della Sonata op. 65, pubblicata poi anche in una
versione per violino e pianoforte (la trascrizione è di Ferdinand David) e in
una versione per pianoforte solo di Moscheles. La Sonata op. 65 è in un certo
senso un omaggio ad una forma musicale settecentesca che vede il pianoforte
accompagnato da un altro strumento, quasi che l’autore, pianista eccelso,
voglia evidenziare una nuova ricerca timbrica. Va detto però che Chopin afferma
sempre la sua personalità pianistica, tanto che nell’Allegro moderato del primo
tempo la ricchezza della scrittura e il predominio del pianoforte sono molto
evidenti e pongono in una posizione secondaria la parte del violoncello. Il
tema principale ha una chiara linea melodica e offre al pianoforte i migliori
spunti per affermare il proprio ruolo dominatore. Più equilibrati nel rapporto
e nel dialogo concertante fra i due strumenti sono il brillante Scherzo e il
nostalgico e conciso Largo, mentre nel Finale il pianoforte torna ad essere
protagonista, impegnato in passaggi vigorosi e tecnicamente anche difficili,
tanto da fugare la diceria secondo cui la malattia, entrata in una fase acuta
nel 1847, abbia dissuaso Chopin dal perseguire un pianismo ad alto livello. Si
può dire che questa Sonata, raramente inclusa nei programmi concertistici,
rientri a pieno diritto in quello scelto repertorio della musica da camera con
pianoforte che avrebbe avuto ampia diffusione nell’epoca romantica, sino a
Brahms.
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