Milano, Teatro Dal Verme
giovedì 6
marzo 2025, ore 10 (in anteprima) e ore 20
sabato 8 marzo 2025,
ore 17
direttore George Pehlivanian
violoncello Ettore
Pagano
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Antonín
Dvořák
(Nelahozeves 1841 – Praga 1904)
Concerto per
violoncello e orchestra in Si minore op. 104
– Allegro
–
Quasi improvvisando: Adagio ma non troppo
– Finale: Allegro
moderato
Pëtr Il’ič Čajkovskij
(Votkinsk 1840 –
San Pietroburgo 1893)
Sinfonia n. 4 in Fa minore op. 36
–
Andante sostenuto - Moderato con anima
– Andantino in modo di
canzona
– Scherzo. Pizzicato ostinato - Allegro
– Finale.
Allegro con fuoco
L’80a stagione concertistica 2024/2025 dei Pomeriggi Musicali “80 anni suonati” prosegue al Teatro Dal Verme giovedì 6 (ore 10 e ore 20) e sabato 8 marzo (ore 17) con il ritorno sul podio di un beniamino del pubblico come il direttore d’orchestra George Pehlivanian (nella foto in alto) insieme al violoncellista Ettore Pagano (foto in basso), considerato uno dei più valenti musicisti di oggi che, ad appena 22 anni, ha già conquistato un ruolo di rilievo nel panorama internazionale, una giovanissima star che dopo aver vinto importanti concorsi, fra qualche giorno alla Tonhalle di Düsseldorf riceverà l’ICMA (International Classical Music Awards) - Classeek Award.
Pehlivanian e Pagano (chiamato a sostituire il previsto Mischa Maisky, impossibilitato a essere a Milano) sono due artisti di straordinaria sensibilità e carisma che, pur appartenendo a generazioni diverse, sono accomunati dalla volontà di cercare una costante brillantezza del suono.
Il programma è dedicato a due pagine capitali del repertorio tardo romantico, drammatiche, in modo minore, accomunate dalla matrice culturale dei rispettivi autori e ancor più dalla lingua musicale adottata: in apertura il Concerto per violoncello e orchestra in Si minore op. 104 di Antonín Dvořák, quindi la Sinfonia n. 4 in Fa minore op. 36 di Pëtr Il’ič Čajkovskij.
«La più recente – scrive Raffaele Mellace nelle note di sala – è il Concerto per violoncello e orchestra di un Antonín Dvořák nella piena maturità, nell’inverno 1894/95, nell’ultimo periodo del capitale soggiorno negli Stati Uniti come direttore e professore di composizione del neonato Conservatorio Nazionale di New York. Dvořák vi si applicò con ostentata riluttanza, benché avesse già dedicato allo strumento una Polacca nel 1879 e un giovanile Concerto in La maggiore esattamente trent’anni prima, nel remoto 1865. Quella che sarebbe diventata, con la sostanzialmente coeva Sinfonia “Dal nuovo mondo”, una delle partiture più frequentate e amate del compositore boemo, presentata a Londra il 19 marzo 1896 da Leo Stern, vede Dvořák stabilire una propria posizione originale accanto a due giganti del sinfonismo e in particolare del concerto solistico della sua epoca: Čajkovskij e Brahms. […] Non minor importanza ha rivestito per Čajkovskij la Sinfonia n. 4, scritta nel 1877, l’anno terribile dell’infelice matrimonio, terminata a Sanremo nel gennaio 1878 e presentata a Mosca il 22 febbraio successivo. Come scrisse all’allievo Taneev, “una sinfonia, la più lirica di tutte le forme musicali [...] non dovrebbe esprimere tutto quello che non è esprimibile a parole, ma che l’anima desidera esprimere e che esige che venga espresso? [...] la mia sinfonia imita la Quinta di Beethoven”. Alla mecenate Nadezda von Meck svelò il programma autobiografico dell’opera, forse memore del Berlioz che Čajkovskij aveva accolto nel suo secondo viaggio in Russia, in particolare rispetto al I tempo: “L’introduzione è il germe di tutta la sinfonia, certamente l’idea principale. Questo è il Fato, la forza nefasta che impedisce la conquista della felicità, che veglia gelosamente perché il benessere e la pace non siano mai perfetti, mai privi di nubi, che resta sospesa sopra le nostre teste come la spada di Damocle e avvelena senza tregua le nostre anime. [...] Non è meglio distogliersi dalla realtà e immergersi nel sogno? O gioia! [...] Tutto ciò che è cupo e triste è dimenticato. Eccola, eccola... la felicità! No! Erano sogni e il fato ci risveglia”».
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