Una canzone scritta come regalo di
Natale per i genitori e caricata su Soundcloud: è cominciata così
la carriera della cantautrice Aurora Aksnes, che da un villaggio fra
le montagne norvegesi – una sorta di Narnia, dice lei, colma di
alberi e silenzio e dove la connessione internet è inaffidabile –
è partita alla conquista della scena pop mondiale. Una fiaba
moderna? Martedì 4 luglio, alle 21.30 al Pala De André, la
ventisettenne Aurora getterà il proprio incantesimo sul pubblico di
Ravenna Festival…ma non fatevi ingannare. Con quel suo caschetto
biondo, le lunghe gonne e la voce eterea, potreste credere di essere
in presenza di qualche imprevedibile spiritello sbucato dalle verdi
profondità delle saghe del Nord; ma Aurora è molto di più: è una
giovane donna capace di flirtare con un successo planetario – anche
sull’onda di TikTok – senza perdere un solo grammo della propria
eccentricità né rinunciare all’impegno per i diritti LGBTQ+ e
alla lotta al cambiamento climatico. Perché, in fondo, “ci sono
così tante forze oscure all’opera sulla terra, ma la musica può
essere un tale raggio di luce”. Basta ascoltare il suo nuovo
album, The Gods We Can Touch, con il suo suadente e tenebroso
pop intessuto di richiami alla mitologia greca, per non poter fare a
meno di darle ragione. L’appuntamento è reso possibile dal
sostegno di Gruppo Hera.
Una sensibilità animistica che ha radici nel folklore delle sue terre, gelide trame elettroniche, ritmi ridotti, suggestioni orchestrali e una voce chiara ed emotiva fanno di Aurora la degna erede di una prodigiosa schiatta di artisti nordeuropei, da Björk a Lykke Li, passando per Sigur Rós e Múm. Il secondo album di Aurora, A Different Kind of Human (2019), è stato significativamente sottotitolato Step 2, perché è una nuova fase del percorso iniziato con il disco di debutto: se All My Demons Greeting Me as a Friend (2016) era concentrato sulla rivoluzione interiore di riconoscere il proprio dolore, accettarlo e non farsene sopraffare, l’album che l’ha seguito ci invita ad aprire gli occhi sul mondo e chiederci cosa possiamo fare per migliorarlo. Guardare dentro di sé, guardarsi intorno…e ora? Con il terzo album, Aurora alza gli occhi al cielo: The Gods We Can Touch racconta, obliquamente e mai banalmente, di quegli dei che gli antichi Greci aveva immaginato tanto simili a se stessi – squisitamente, terribilmente umani – ma soprattutto racconta di noi, cittadini del terzo millennio.
Cuore ideale del nuovo album è Cure for Me: orecchiabile, danzabile, sfacciatamente accattivante, questo brano dalla superficie smaltata e dal ritmo euforico è stato ispirato dai molti, troppi, Paesi che ancora ammettono le “terapie di conversione” per chi infrange i tabù dell’eteronormatività – ma io non ho bisogno di una cura è il ritornello che dà voce alla comunità LGBTQ+. “L’epoca in cui viviamo rende difficile essere umani – ha spiegato Aurora – Ci sono molti fattori che influenzano la nostra salute mentale, l’immagine che abbiamo di noi stessi e il nostro orgoglio. Chiediamo perdono per i nostri istinti e desideri, per la nostra natura, quando in realtà siamo perfetti così come siamo. Quest’album celebra tutto ciò di cui non dovremmo mai vergognarci”. Un dibattito che la cantautrice sviluppa attraverso il prisma della mitologia greca, trasformando ogni canzone in un incontro con una divinità: da Atlante che regge il mondo sulle spalle nella squisita Everything Matters a Peitho, personificazione della seduzione e della persuasione in A Dangerous Thing, e poi Persefone, Prometeo, Artemide…
Enfant prodige che ha scritto la prima canzone in inglese a nove anni (a undici ha creato Runaway, il singolo che ha fatto impazzire la tribù di TikTok), Aurora è stata paragonata ad artiste come Florence Welch, Lorde e Sia e ha ispirato l’allora dodicenne Billie Eilish a coltivare la passione per la musica. La stampa l’ha descritta come un’esteta del pop alternativo, poetessa di un elettro-folk dalle tinte gotiche-romantiche. Aurora è femminista, una paladina dei diritti umani e attiva promotrice di uno stile di vita più consapevole del nostro impatto sull’ecosistema.
Una sensibilità animistica che ha radici nel folklore delle sue terre, gelide trame elettroniche, ritmi ridotti, suggestioni orchestrali e una voce chiara ed emotiva fanno di Aurora la degna erede di una prodigiosa schiatta di artisti nordeuropei, da Björk a Lykke Li, passando per Sigur Rós e Múm. Il secondo album di Aurora, A Different Kind of Human (2019), è stato significativamente sottotitolato Step 2, perché è una nuova fase del percorso iniziato con il disco di debutto: se All My Demons Greeting Me as a Friend (2016) era concentrato sulla rivoluzione interiore di riconoscere il proprio dolore, accettarlo e non farsene sopraffare, l’album che l’ha seguito ci invita ad aprire gli occhi sul mondo e chiederci cosa possiamo fare per migliorarlo. Guardare dentro di sé, guardarsi intorno…e ora? Con il terzo album, Aurora alza gli occhi al cielo: The Gods We Can Touch racconta, obliquamente e mai banalmente, di quegli dei che gli antichi Greci aveva immaginato tanto simili a se stessi – squisitamente, terribilmente umani – ma soprattutto racconta di noi, cittadini del terzo millennio.
Cuore ideale del nuovo album è Cure for Me: orecchiabile, danzabile, sfacciatamente accattivante, questo brano dalla superficie smaltata e dal ritmo euforico è stato ispirato dai molti, troppi, Paesi che ancora ammettono le “terapie di conversione” per chi infrange i tabù dell’eteronormatività – ma io non ho bisogno di una cura è il ritornello che dà voce alla comunità LGBTQ+. “L’epoca in cui viviamo rende difficile essere umani – ha spiegato Aurora – Ci sono molti fattori che influenzano la nostra salute mentale, l’immagine che abbiamo di noi stessi e il nostro orgoglio. Chiediamo perdono per i nostri istinti e desideri, per la nostra natura, quando in realtà siamo perfetti così come siamo. Quest’album celebra tutto ciò di cui non dovremmo mai vergognarci”. Un dibattito che la cantautrice sviluppa attraverso il prisma della mitologia greca, trasformando ogni canzone in un incontro con una divinità: da Atlante che regge il mondo sulle spalle nella squisita Everything Matters a Peitho, personificazione della seduzione e della persuasione in A Dangerous Thing, e poi Persefone, Prometeo, Artemide…
Enfant prodige che ha scritto la prima canzone in inglese a nove anni (a undici ha creato Runaway, il singolo che ha fatto impazzire la tribù di TikTok), Aurora è stata paragonata ad artiste come Florence Welch, Lorde e Sia e ha ispirato l’allora dodicenne Billie Eilish a coltivare la passione per la musica. La stampa l’ha descritta come un’esteta del pop alternativo, poetessa di un elettro-folk dalle tinte gotiche-romantiche. Aurora è femminista, una paladina dei diritti umani e attiva promotrice di uno stile di vita più consapevole del nostro impatto sull’ecosistema.
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